Ritmo sincopato

Non esiste un termine specifico, ma solo un frequente accadimento di fatti al quale ho dato l'appellativo di "Sindrome del Dipendente", secondo il quale un sanitario che entra come utente in un percorso di cura è oggetto di inconvenienti di ogni natura.

Assomiglia molto alla legge di Murphy che trae il suo nome dell'omonimo ingegnere che enunciò il seguente postulato: "Se ci sono due o più modi di fare una cosa e uno di questi modi può condurre a una catastrofe, allora qualcuno la farà in quel modo". In effetti questo celebre assioma, che ha dato vita all'opera di derisione delle sventure quotidiane operata da Bloch, rappresenta un concetto statistico secondo il quale per quanto sia improbabile che si verifichi un certo evento, entro una certa frequenza di un fenomeno, questo finirà molto probabilmente per verificarsi. Che è poi alla base dell'esperienza personale che mi appresto a raccontare.
Tutto trae origine dal reperto occasionale di un calcolo renale del quale avevo sempre ignorato l'esistenza, dato che non aveva mai provocato alcun sintomo rilevante. L'urologo al quale mi sono rivolto, per scrupolo rispetto alla mia età, dimensione del mio ospite e secondo linee guida, mi propone di sottopormi a litotrissia per eliminarlo ed evitare possibili e futuri problemi.
Dunque mi documento sulla questione (passando da "paziente" a "paziente esperto") e eseguo diligentemente tutte i vari passaggi di prenotazione e preparazione alla terapia, presentandomi in orario il giorno previsto e cercando di non far trapelare la mia identità lavorativa della stessa azienda, per evitare di slatentizzare oltremodo la Sindrome del Dipendente: l'unico elemento che ha tradito la mia posizione, ma solo presso l'accettazione, è stato la certificazione di assenza di allergia al lattice.
Dopo la giusta attesa vengo introdotto, con il numero 106, oltre la porta degli ambulatori. Il numero 7 (1+6) avrà avuto un ruolo negli eventi seguenti? La numerologia gli assegna un valore di elevata spiritualità, ma anche cambiamento e compiutezza insieme.
Attendo brevemente in altro locale interno e poi accedo alla stanza del litotritore, tecnologia basata sulle "onde d'urto", onde acustiche la cui energia cinetica viene trasferita dal generatore all’applicatore terminale posto a contatto con la parte da trattare. Sono chiaramente fastidiose e personalmente ne avevo già fatta conoscenza in occasione di una transitoria problematica muscoloscheletrica. Conscio (e rassegnato) a quanto mi attendeva, mi hanno fatto distendere sul lettino e posizionare adeguatamente, mi hanno inserito l’ago cannula per la terapia antidolorifica, e la danza è cominciata.
Nei primi minuti il fastidio è stato minimo. Sdraiato sul fianco sinistro, ben appoggiato alla sorta di cuscino posto contro la loggia renale, facevo trascorrere il tempo accompagnato acusticamente dal ritmico susseguirsi dei colpi che ogni tanto venivano aumentati quanto a intensità. Il medico seguiva il trattamento dall’interno del box separato da me da un vetro e l’infermiera che mi aveva posizionato ogni tanto si affacciava a chiedermi come stavo. Il tempo passava lentamente e le percussioni erano via via più intense e fastidiose, ma stoicamente avevo deciso di tacere finché, dopo un primo alert lanciato verso il cerbero, liquidato con un “se non si va avanti non serve a niente”, al successivo step di intensità ho alzato definitivamente bandiera bianca (“peccato avevamo quasi finito”). Ho letto poi sul referto che sono stato percosso quasi 4000 volte: roba da pugile professionista! ... e infatti non essendo nemmeno un dilettante del settore sono andato k.o.
Il boxer smette di percuotermi e l’infermiera mi aiuta a riposizionarmi supino e lì mi accorgo che qualcosa non va: mi gira la testa mi sento debole, alzo le gambe, respiro, ma sento che faccio fatica a riprendermi. L’infermiera si avvicina e …ancora niente ... le dico che ho una crisi vagale, giunge anche il medico che mi incita a respirare e dice che sono bradicardico di prendere l’atropina e poi… il buio. Devo dire che non mi sono spaventato, forse non ho fatto in tempo, pur nella consapevolezza che stavo progressivamente spengendomi come un brano musicale che procede ad libitum con il volume che pian piano arriva al silenzio.
Breve parentesi: gli studi sulla memoria emozionale riportano che quando una persona è sottoposta a un episodio di forte impatto emotivo, il primo racconto che fa è probabilmente il più realistico, poiché, dato che tendenzialmente ognuno si fida dei propri ricordi, successivamente l’individuo tende a convincersi che il modo in cui ricorda la propria esperienza coincida con il modo con cui essa si è effettivamente verificata. Questo serve a placare l’ansia o l’eccessivo impatto emotivo delle sensazioni che si legano al ricordo. Nel caso personale non saprei dirvelo con certezza: so che quando ho ripetuto al medico cosa ricordavo, mi hanno confermato che i fatti si sono susseguiti come li descrivevo. Chiudiamo parentesi e torniamo al punto.
In realtà silenzio intorno a me non ce n’era. Ho sentito il medico che invocava nuovamente l’atropina, il carrello dell’emergenza, ho sentito posizionarmi gli elettrodi e dire che ero estremamente bradicardico poi che ero in arresto. Anche se può apparire strano, dentro di me ero consapevole che la situazione non fosse particolarmente allegra, ma ero tranquillo, sentivo che stavano facendo di tutto per me, mi sentivo in buone mani; percepivo freddo alle labbra e niente altro dal mio corpo. Non avevo idea di quanto tempo trascorresse e, in un barlume di dialogo con me stesso, ho pensato che fosse veramente paradossale andarsene a causa di una litotrissia. Avvertivo la presenza di più persone intorno indaffarate intorno a me, sapevo esserci l’infermiera (che mi faceva sentire più sicuro), sentivo il medico dire che iniziava il massaggio cardiaco, ma avevo la sensazione di non riuscire a tornare dal luogo in cui ero solo con me stesso, così mi sono detto che se dovevo andarmene tanto valeva farlo pensando a qualcosa di bello, con il pensiero delle mie figlie, della mia compagna, di Dio, di coloro che mi hanno voluto bene. Probabilmente apparirà banale, ma quando ti rendi conto che non sai se uscirai vivo dall’esperienza che stai vivendo, hai poche altre cose a cui pensare, se non quelle che il tuo cuore sente come essenziali per te.
Tuttavia dalla profondità del mio “sonno” ho cominciato ad avvertire un fastidio che progressivamente ho capito essere il medico che mi “massaggiava” il torace (dopo il fianco, ci mancavano pure i cazzotti sullo sterno!). Il fastidio cresceva fin quando sono rientrato nel presente, con il medico bianco in volto (terzo classificato dopo il camice e me) che mi ha accolto chiedendomi come stavo e ricevendo per risposta un mio “Ci sono” un po’ biascicato.
Mi sono sentito solidale con lui perché si leggeva chiaro in volto il suo spaventato, la fatica fisica, la difficoltà di gestire una situazione di emergenza inaspettata (eravamo in un ambulatorio, non al pronto soccorso), mentre gli infermieri in stanza elogiavano (con ragione!) i corsi BLSD. Poi è arrivata l’anestesista, una ragazza sorridente che conoscevo di vista per la mia frequentazione lavorativa delle terapie intensive, che ha raccolto le varie informazioni sull’episodio, tranquillizzato me e rincuorato il collega, disponendo il mio trasferimento al Pronto Soccorso. Il trasporto da barellato è stato come nei film, con il soffitto che scorre sopra di te. Sono stato ricoverato in sala rossa (prima volta nella vita e spero l’ultima), mi hanno monitorizzato e scassato un paio di vene prima di riuscire a trovarne una, cosa insolita, ma probabilmente la mi pressione non era nei suoi giorni migliori. Ho potuto fare la telefonata di rito per avvertire che ero stato rianimato e sono rimasto in osservazione per 24 ore (in reparto di Osservazione Breve Intensiva). Una delle notti più faticose della mia vita, tra sonno, flebo, bagno e avvicendarsi di persone e personale. Successivamente alle valutazioni dei medici del Pronto Soccorso è stato stabilito che non abbia avuto un arresto cardiaco (il medico urologo dissente da questa posizione), ma un episodio sincopale da crisi vagale (causa ipotensione e bradicardia, riduzione critica di apporto di ossigeno al cervello e conseguente perdita di coscienza).
Perché raccontare questo singolare episodio? Perché deludere le aspettative di esperienze extracorporee (tunnel di luce, osservazione della scena dall’alto etc.)? Perché questa esperienza è stata connotata dalla fiducia. Fiducia nella professionalità di chi mi prestava soccorso, sapendo di essere nel posto migliore per essere soccorso; fiducia in un futuro che, qualunque esso fosse, in quel momento non mi spaventava.
Perché nella società attuale, pretenziosamente individualista e “autodeterminazionista” (perdonate il termine), ho vissuto una placida sensazione di accettazione del fatto che l’esito della situazione che vivevo, la mia stessa vita, non dipendesse da me, ma fosse affidata a mani altrui.
Non c’è una morale particolare da trarre da questa esperienza, oltre al lieto fine che mi permette di raccontarla.
Non ritengo di essere cambiato: sono sempre il solito, nei pochi pregi e nei tanti difetti, ma ho capito quanto è fragile il confine tra essere in salute e…esserlo meno: smettere di credersi onnipotenti ed eterni, di pensarsi come eterni spettatori delle vicende (sempre) altrui, aiuta solo ad essere semplicemente più umani, più empatici verso chi si trova “dall’altra parte” (del percorso di cura).

Giovanni Sardo, Fisioterapista e Socio Fondatore dello Spazio Etico

NB. Il Ritmo Sincopato consiste nello spostamento dell’accento ritmico all’interno di una composizione: un effetto che interrompe il flusso ritmico o armonico.

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