"Rivoglio la mia morte": questo è il grido di solitudine e dolore di Piergiorgio Welby. Grido al quale egli non può dar sfogo con la propria voce, ma che può solo affidare al suono atono, metallico, di un simulatore vocale.
Welby infatti non può più parlare: la distrofia muscolare dalla quale è affetto da quando aveva 18 anni gli impedisce di esprimere qualsiasi suo pensiero - "[La distrofia muscolare] E' una delle patologie più crudeli perché, mentre lascia intatte le facoltà intellettive, costringe il malato a confrontarsi con tutti gli handicap conosciuti: da claudicante a paraplegico, da paraplegico a tetraplegico, poi arriva l' insufficienza respiratoria e la tracheostomia. Il cuore, di solito, non viene colpito e quello che i medici chiamano l' “esito infausto” si ha per i decubiti o una polmonite" (pagina 16)-. E non solo. Dal 1997, dopo una grave crisi respiratoria, l' Autore è costretto a vivere un inferno quotidiano, condannato alla più completa immobilità ed all' assoluta dipendenza dagli altri; respira esclusivamente con l' ausilio di un ventilatore polmonare esterno; viene nutrito di sostanze chimiche tramite un sondino naso-gastrico; comunica con il mondo esterno attraverso un computer.
Piergiorgio Welby non ha più un corpo suo: è stato trasformato in una sorta di mostro, di Frankenstein, costretto ad un' orrenda simulazione di vita prolungata artificialmente da fredde macchine le quali gli garantiscono la sopravvivenza ma non la vita.
"Io amo la vita, Presidente. Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l' amico che ti delude. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso – morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita – è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio...è lì, squadernato davanti a medici, assistenti, parenti. Montanelli mi capirebbe. Se fossi svizzero, belga o olandese potrei sottrarmi a questo oltraggio estremo ma sono italiano e qui non c' è pietà."
Dalla lettera indirizzata al Presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano, riportata nel libro.
Nonostante tutte le difficoltà che il suo stato comporta, l' Autore ha la forza di lottare ed il coraggio di portare il suo caso fino alla presenza del Presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano. Il 22 settembre 2006 la voce metallica del sintetizzatore vocale usato da Welby denuncia alla più alta carica dello Stato ed all' Italia intera quelle che sono le sofferenze, il degrado fisico e morale dell' autore della lettera e di quanti come lui nel nostro paese sono malati terminali e non possono liberamente morire.
Piergiorgio Welby sceglie deliberatamente di non porre fine nell'anonimato e nel silenzio a quell'inutile sofferenza che è diventata la sua vita - come peraltro succede molto spesso in Italia - ma decide di denunciare lo stato di totale abbandono nel quale versano tanti malati come lui, esseri umani i quali, non credendo "[nel] valore della sofferenza terrena come via della felicità celeste […] desidera solo riappropriarsi del suo corpo, quanto basta per poter scegliere il momento della sua morte" (pagina 15).
Riguardo l' eutanasia, l' Autore fa un confronto con quanto accade negli Stati Uniti ed in Europa. Mentre all'estero si cerca di rispondere alla domanda fondamentale se "l'individuo, può rinunciare alla vita – biologica – quando patologie degenerative, inguaribili e incurabili, distruggono la vita – biografica?" (pagina 85), in Italia si fugge da questo come da altri temi fondamentali per l' essere umano.
In Italia, la volontà di affrontare la morte e le tematiche relative è totalmente assente. L'eutanasia fa paura, il suo vero significato è un argomento che non va in alcun modo affrontato, né tanto meno chiarito.
Intorno al termine eutanasia regna tra i cittadini italiani la più totale confusione; tale confusione è volutamente mantenuta dalla nostra classe politica e dalla stampa, le quali evitano deliberatamente di fare chiarezza attorno ad un tema così importante.
La speranza che Piergiorgio Welby affida al suo libro, è quella che l' essere umano riacquisti la propria dignità nel vivere, ed accetti la morte come parte integrante della vita: "Io spero che l'ineluttabilità del morire sia in futuro, per tutti noi, un traguardo da raggiungere senza essere costretti a percorrere gli ultimi metri maledicendo ogni passo e chiedendo un po' di pietà"(pagina 55).