Segnaliamo un eleborato di Laura Adami che affronta la tematica del tempo attraverso una sua testimonianza.
“La nostra vita arriva a settant’anni
a ottanta se ci sono le forze:
la maggior parte sono pena e fatica
presto è finita e noi ci dileguamo (…)
insegnaci a contare i nostri giorni
e giungeremo alla sapienza del cuore”
(Salmo 90.10-12)
Tutta la nostra vita, dall’istante del concepimento all’ultimo battito del cuore, è segnata dal tempo. Il tempo, come anche l’ambiente, è fattore determinante della nostra personalità. Non è indifferente essere nati nel ventesimo secolo piuttosto che nell’epoca dell’impero romano, come non è indifferente essere nati in Italia e non in Africa. Il tempo ritma il succedersi dei giorni e delle notti, delle stagioni, delle semine e dei raccolti… ora, invece, il nostro tempo supertecnologico è caratterizzato dalla lotta "contro" il tempo, quasi fosse un drago con il quale combattere, misurarsi e sconfiggere. Rincorriamo il tempo e aumenta lo stress, l’ansia , ci lamentiamo che “non ho tempo” e quando poi ci fermiamo, lo riempiamo con la televisione, con lo stazionare nei “non luoghi”, con i video-giochi per non fermarsi a pensare, riflettere, ascoltare il tempo, lo scorrere del tempo, le emozioni, i sentimenti, gli altri. E invece misuriamo il tempo che posso dedicare ad un paziente (20 minuti una visita oncologica, 10 una medicazione a un’ulcera cancerosa…). Ma come possiamo stare dentro a questo tempo?
Urliamo il nostro disappunto, la nostra perplessità, ma l’ingranaggio è troppo forte e ci prende… ci perdiamo. Non siamo più liberi neanche di meravigliarci della bellezza delle piccole cose: un saluto di un nostro paziente, che ci rivolge un sorriso anche se segnato dalla sofferenza, la ricerca di un abbraccio per affrontare la paura della solitudine nella sofferenza, la voglia di tenere le mani di una persona morente per non lasciarlo solo. Invece... " dobbiamo seguire le procedure": rianimare, mantenere in vita con macchine e artifici per recuperare tempo, ma di quale vita? Quella di persone che, attaccata a un tubo che fa respirare, a una peg che nutre, non riescono neppure a comunicare con i propri cari perché "costretti" in un corpo "isolato dal mondo". A volte, forse, se avessimo il coraggio di pensare prima di "fare” risparmieremmo sofferenze inutili e rispetteremmo la dignità dell’uomo.
Ho lavorato in Rianimazione, Terapia Intensiva Neonatale e ora sono in Oncologia: ogni volta i dubbi mi assalgono, quando ho visto rianimare neonati di 23 settimane con l’incertezza di come cresceranno, di come i loro genitori potranno accudirli e amarli nonostante le eventuali disabilità. Ho visto effettuare chemioterapie anche pochi giorni prima della fine senza accettare il limite alle/delle cure nell'esclusivo interesse di quel paziente che dovrebbe sempre guidarci. Ma è giusto appropriarsi così della vita degli altri? Se riflettessimo, ci prendessimo il tempo per comprendere l’altro, soprattutto se è diverso da me per cultura, genere, etnia…e avessimo il coraggio di rispettarlo, forse riusciremmo a prenderci cura veramente delle persone malate. Nei nostri ospedali , ancora troppo pieni di sofferenze inutili e dolore non controllato, potremo far tornare l’inizio della vita - la nascita - come evento naturale e la morte come la normale conclusione della vita.
“Ho imparato a rispettare le idee degli altri,
ad arrestarmi davanti al segreto di ogni coscienza,
a capire prima di discutere,
a discutere prima di condannare ...”
(N.Bobbio, Italia civile, 1964)
Laura Adami