In Italia gli effetti pandemici dovuti al nuovo Coronavirus Sars- CoV- 2 hanno provocato un’emergenza sanitaria per Covid 19 cui è stata data risposta immediata con una serie di misure urgenti fin dalla dichiarazione dello stato di emergenza del 31 Gennaio 2020.
La medicina delle cure primarie con, in prima linea, la medicina generale, il servizio di continuità assistenziale e la pediatria di libera scelta, si è trovata a fronteggiare situazioni complesse in condizioni estremamente precarie da un punto di vista organizzativo e preventivo.
La complessa situazione pandemica ha inevitabilmente chiamato tutti i professionisti sanitari ad affrontare una nuova sfida di dimensioni globali: nessuno era adeguatamente preparato e perciò si è fatto il possibile per affrontare questa nuova situazione in tempi rapidi. Tra medico curante (colui che si prende cura) e paziente sono emerse difficoltà sia oggettive che soggettive.
Nell’ambito della medicina territoriale in emergenza pandemica, l’MMG si trova ad avere il complesso onere di bilanciare le difficoltà oggettive (strumentali) e soggettive (relazionali) di chi chiede cura e assistenza, ma ciò inevitabilmente si ripercuote anche sulla sua persona, sul suo operato e sullo sforzo di mantenere uno standard elevato di cura confrontandosi con tali reali difficoltà.
I principi etici attraverso i quali poter definire buono un atto medico non cambiano in base alla situazione emergenziale che stiamo vivendo. Ciò che cambia è la modalità di applicazione di tali principi relativamente ad una circostanza particolare e di erogazione delle cure. In tale situazione pandemica i fondamentali principi in gioco sono principalmente due: il rispetto dell’autonomia e il principio di giustizia.
In emergenza pandemica il rispetto del principio di autonomia dev’essere rimarcato non solo per il paziente ma anche per il medico, che deve offrire le proprie competenze tutelando al contempo la propria salute occupandosi anche dei suoi stretti collaboratori, per il proprio bene e per poter continuare la propria professione a beneficio di tutta la comunità.
Come psicologa mi sono più volte interrogata sullo stato di mal-essere conseguente ad una situazione pandemica concentrandomi soprattutto sul trauma invisibile che giorno dopo giorno uno stato di emergenza è in grado di provocare.
Da un punto di vista emotivo abbiamo che le reazioni conseguenti ad un evento traumatico, in genere, si presentano come una sensazione sconvolgente di vulnerabilità, di impotenza o di perdita di controllo, accompagnata da emozioni di intensa paura o sofferenza.
I tre elementi che definiscono e caratterizzano gli eventi traumatici sono la mancanza di controllo su ciò che sta accadendo, la sensazione che si stia vivendo un’esperienza estremamente negativa e la repentinità di tale esperienza.
La sofferenza psicologica che segue l’esposizione ad un evento stressante o traumatico è di fatto soggettiva e molto variabile: quello che da un individuo può essere percepito e vissuto come un evento critico, potrebbe non esserlo per altri.
Certamente non è possibile prevedere chi svilupperà un disturbo da stress post traumatico in risposta ad una determinata situazione, ma alcuni fattori precedenti, concomitanti o successivi all’evento possono facilitare l’insorgenza del disturbo.
A fronte di quanto finora affermato, pare dunque evidente che tra i soggetti maggiormente colpiti dallo stress da pandemia ci siano soprattutto i medici, gli staff ospedalieri e gli operatori sanitari.
Da qua l’idea di un “laboratorio emozionale” per i medici di medicina generale.
Settimanalmente, all’interno dello studio di una dottoressa, si è creato un gruppo di lavoro sulle emozioni.
Scopo ed obiettivo del laboratorio emozionale, è stato ed è la possibilità di fornire strumenti per la “cassetta degli attrezzi emotiva” di ognuno dei presenti, cioè fornire loro nuove chiavi di lettura, strumenti pratici (ripresi dalla mindfulness e da tecniche di rilassamento quali il training autogeno), attuazione di una normalizzazione delle emozioni provate e in alcuni casi anche un contenimento emotivo a fronte di situazioni legati ai lutti che sono via via emerse.
Lo stato di attivazione neurofisiologica, nelle differenti sfumature di comportamento, diventa il focus su cui lavorare, nel tentativo di alleggerirlo o ancor meglio disattivandolo. Si tratta di sostenere l’integrazione dei funzionamenti di fondo e promuovere il ripristino dei processi normali di apprendimento.
In altre parole, si tratta di un lavoro di “alfabetizzazione emozionale in situazione di profondo stress” all’interno un percorso di approfondimento circa gli aspetti più rilevanti delle proprie emozioni.
Lo scopo è stato dunque quello di ri-educare l’individuo ad affrontare le proprie ed altrui emozioni, imparando ad utilizzare, valorizzare e potenziare le proprie risorse, le proprie capacità di pensare/agire in modo costruttivo, riportandolo in primis ad una condizione di eustress e successivamente permettendogli di recuperare energie emotive per affrontare la situazione di emergenza nella quale siamo tutt’ora inseriti.
L’intervento psicologico è stato quindi pensato ed effettuato su soggetti non inquadrabili come patologici, ma individui sani che sperimentano una vasta gamma di reazioni che, pur evidenziando un’evidente sofferenza psichica, costituiscono normali risposte all’esposizione ad un evento eccezionale che minaccia il senso di continuità dell’esistenza.
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