Riportiamo il comunicato stampa sul Parere di maggioranza del Comitato Nazionale per la Bioetica, approvato in data 24 ottobre 2008, in merito al “Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento sanitario nella relazione paziente-medico.”
A fronte di una ampia casistica in merito al tema trattato, il CNB ha ritenuto opportuno affrontare la questione del rifiuto (richiesta di non inizio) e della rinuncia (richiesta di sospensione) di trattamenti sanitari salva-vita da parte del paziente cosciente e capace di intendere e di volere, adeguatamente informato sulle terapie, in grado dì manifestare in modo attuale la propria volontà. Non si è, di contro, tenuto conto di situazioni che possono riguardare pazienti incapaci di esprimere una scelta consapevole e giuridicamente rilevante (minori, malati di mente, pazienti in stato vegetativo persìstente, ecc). Nell'ambito della situazione esaminata è stato opportuno differenziare, poi, la posizione del paziente autonomo in grado di sottrarsi alla terapia indesiderata senza coinvolgere terzi da quella del paziente che si trova in condizioni di dipendenza tali da rendere necessario l'intervento del medico.
All'interno del presente Comitato sono emerse diverse opinioni, sia a livello bioetico che biogiuridico, alcune divergenti altre condivise.
- Per quanto concerne il rifiuto o la rinuncia alle terapie c.d. salva-vita, alcuni membri si richiamano al principio secondo cui la vita umana costituisce un bene indisponibile, da tutelare e preservare sempre, garantendo adeguate cure mediche. Ritengono, pertanto, che il paziente in condizione di autonomia, pur avendo la legittimità che gli proviene dal diritto di rifiutare le cure (non essendo il trattamento sanitario coercibile), abbia l'obbligo morale di vivere, avendo una responsabilità verso sé e la società. In caso di dipendenza, per la stessa ragione morale, ma anche per altre più propriamente giuridiche che richiamano l'art. 32, co. 1 della Carta cost.; l'art. 5 e.e. e gli artt. 579-580 c.p., non è ritenuta ammissibile la rinuncia di terapie da parte di un paziente in condìzione dì dipendenza, che si traduce nella richiesta al medico di svolgere una attività emissiva o commissiva che lo conduca alla morte.
- Diversa la posizione di altri membri che considerano la vita come un bene senza dubbio primario e meritevole della massima tutela, ma non per questo assoggettato ad un regime di assoluta indisponibilità, dovendosi tenere in considerazione il valore che il singolo vi attribuisce, alla luce dei principi e delle scelte morali che riflettono il senso che ognuno conferisce alla propria esistenza. Pertanto, in nome del principio del consenso/dissenso informato del paziente e della prevalenza nell'ambito del rapporto con il medico o con l'equipe medica, ritengono che sia moralmente e giuridicamente giustificabile la richiesta di rifiuto o di rinuncia al trattamento sanitario da parte di un paziente sia autonomo che in situazione di dipendenza. Nel formulare la loro posizione hanno tenuto anche conto della lettura in chiave personalista della Carta costituzionale (artt. 13 e 32, co. 2) e dell'ordinamento giuridico che, è stato sottolineato, deve ricevere una interpretazione costituzionalmente orientata.
- Malgrado quelle divergenze, il Comitato è pervenuto alla formulazione di alcuni principi prevalentemente condivisi, che possono essere così sintetizzati:
1) II medico è destinatario di un fondamentale dovere di garanzia nei confronti del paziente, e deve sempre agire previo consenso di quest'ultimo rispetto al trattamento da attivare o attivato.
2) Fra i doveri etici, giuridici e professionali del medico rientra anche la necessità che la formale acquisizione del consenso non si risolva in uno sbrigativo adempimento burocratico, ma sia preceduta da un'adeguata fase di comunicazione e interazione fra il soggetto in grado di fornire le informazioni necessarie (il medico) ed il soggetto chiamato a compiere la scelta (il paziente). Ne consegue anche la condanna di ogni prassi di abbandono terapeutico.
3) II medico deve sempre elaborare a livello sia epistemologico che bioetico una duplice consapevolezza: da una parte, quella per cui ogni forma di accanimento clinico si configura come illecita; dall'altra, che il dovere del medico di non assumere atteggiamenti paternalistici o lato sensu autoritari nei confronti dell'assistito vada coniugato con una particolare attenzione per le esigenze della cura, affinché il rifiuto o la rinuncia del paziente a terapie salvavita rimangano pur sempre un'ipotesi estrema.
4) Considerato che non di rado, risulta particolarmente difficile accertare in concreto l'effettiva sussistenza di un accanimento clinico-diagnostico, una adeguata valutazione del caso da parte del medico deve tenere conto della competente richiesta di sospensione dei trattamenti da parte del paziente.
5) Nel caso di paziente in condizione di dipendenza che esprime consapevolmente la rinuncia alle cure che richiede un comportamento attivo da parte del medico va riconosciuto il diritto a quest'ultimo di astensione da comportamenti ritenuti contrari alle proprie concezioni etiche e professionali. Il paziente ha in ogni caso il diritto ad ottenere altrimenti la realizzazione della propria richiesta all'interruzione delle cure, anche in considerazione dell'eventuale e possibile astensione del medico e dell'equipe medica.
Va ancora detto che alcuni Colleghi del CNB non si sono interamente ritrovati nelle diverse posizione bioetiche e biogiuridiche esposte nel parere e, pertanto si sono riservati di evidenziare le loro ragioni di dissenso in apposita postilla.