Riflessioni sugli articoli pubblicati nella sezione "Etica" dell'Avvenire, l'11 settembre 2008.
Giovedì 11 settembre il quotidiano "L'Avvenire" ha dedicato quattro pagine alla vicenda Englaro.
Nel dossier "Eluana, quando la vita è appesa ad una sentenza" vengono criticate la motivazioni della Corte d'Appello di Milano (che ha autorizzato il distacco del sondino naso-gastrico) perchè ritenute "troppo fragili".
Viene messa in discussione la reale capacità di Eluana, prima del tragico incidente, di esprimere un giudizio maturo e ponderato su una condizione che poteva conoscere ben poco. Il consenso di una persona, soprattutto su scelte di questo tipo, non dovrebbe essere considerato valido se non è ben informato e consapevole: "Non è possibile rifiutare o accettare le cure proposte senza averne le conoscenze adeguate" (...) "Chi accetterebbe la chemioterapia solamente alla vista di un malato nel pieno degli effetti collaterali?" (...) Ma quanti di noi, di fronte ad ogni proposta terapeutica, sono davvero ben informati su ogni dettaglio e profondamente consapevoli di ciò a cui vanno incontro, delle conseguenze della propria scelta e delle condizioni di vita futura? Non per questo i nostri consensi non vengono ritenuti validi... E' bene ricordare che la Costituzione Italiana e la Convenzione di Oviedo, rifacendosi al principio di autonomia della persona, sanciscono il diritto del paziente a non ricevere alcun trattamento contro la propria volontà.
L'Avvenire continua a mettere in dubbio la validità della volontà espressa da Eluana: "...siamo certi che quel suo non voler vivere attaccata ad un tubo significa che adesso vorrebbe morire di fame e di sete?"
Come se permettere l'interruzione dell'alimentazione volesse dire lasciare che Eluana muoia di stenti e fra pene intollerabili...
In secondo luogo il quotidiano cattolico, attraverso le parole di Gianfranco Iadecola (ex procuratore generale della Cassazione) accusa la Corte Suprema di aver contraddetto, con la sentenza dello scorso anno, alcuni principi del nostro ordinamento fra cui la non vincolatività per il medico, qualora il consenso non sia attuale.
In campo c'è, inoltre, un conflitto di attribuzione: secondo la mozione approvata poi da entrambi i rami del Parlamento, la Corte di Cassazione avrebbe compiuto un atto "sostanzialmente legislativo" - che non è di sua competenza - invece di limitarsi a verificare la corretta applicazione del diritto vigente.
Nel dossier in terza pagina, ("In stato vegetativo, disabile grave. Ma viva"), viene riportato l'appello con cui 25 neurologi italiani chiedono alla Procura Generale di Milano di impugnare il decreto su Eluana e di bloccare quella che viene definita come una vera e propria "sentenza di condanna a morte", ricordando che il paziente in stato vegetativo persistente non è in coma e non è un malato terminale, ma solo un grave disabile, che come tale ha diritto e merita di essere seguito e curato.
Anche l'associazione Scienza&Vita il 15 Luglio scorso ha lanciato un appello, che ha già raccolto più di 5mila firme, per dire "No alla prima esecuzione capitale della storia repubblicana italiana."
A cura della Dott.ssa Elisa Valdambrini, filosofa bioeticista.