Nell’ambito del ciclo di incontri “Leggere per non dimenticare”, Mercoledì 26 marzo 2008 presso la Biblioteca delle Oblate di Firenze Andrea Boraschi e Luigi Manconi hanno presentato il loro libro, edito da Bruno Mondadori: "Il dolore e la politica. Accanimento terapeutico, testamento biologico, libertà di cura".
Il libro di Boraschi e Manconi ha il titolo drammatico “Il dolore e la politica" ed ha raccolto quattro testi essenziali di Enzo Campelli, Ignazio Marino, Stefano Rodotà ed Enza Lucia Vaccaro.
Perché "Il dolore e la politica?" Perché da una parte c’è la sfera intima e personale del vissuto di malattia e di sofferenza fisica, psicologica, emotiva ed esistenziale; dall’altra il dibattito pubblico su argomenti che divengono oggetto di analisi politica e materia di legislazione.
Il pubblico ed il privato dunque, o meglio, il privato che diviene pubblico.
La legge, con la sua presenza, ma anche con la sua assenza, interviene a “normare” le scelte più delicate che gli individui si trovano a compiere in situazioni critiche di malattia e sofferenza, e di fronte agli eventi cruciali della vita umana quali la nascita e la morte. Per quel che concerne questi temi sensibili, le leggi risultano in certi casi estremamente restrittive e dettagliate e spesso in contraddizione fra loro, come dimostra il fatto che la legge 40 sulla fecondazione assistita non consente la diagnosi pre-impianto ai fini della selezione dell’embrione, mentre la legge 194 consente l’aborto terapeutico: dunque si può sopprimere un feto già formato, per motivi terapeutici, ma per gli stessi motivi non si può sacrificare un embrione ancora da impiantare nell’utero materno.
In altri casi, invece, la legislazione presenta lacune e vuoti che divengono “pieni normativi” nel momento in cui il silenzio depriva i cittadini di una libertà. Basti pensare all’amara vicenda di Eluana Englaro costretta da sedici anni al coma vegetativo permanente poiché la sua volontà, manifestata prima del tragico incidente, per quanto chiara ed esplicita, non può essere esaudita perché non espressa in forma scritta.
Ma perché tanti contrasti e polemiche sulle direttive anticipate?
Il “testamento biologico” non rappresenta una scorciatoia verso l’eutanasia come molti detrattori lo definiscono, e non può prevedere al suo interno richieste eutanasiche, dal momento che in Italia l’eutanasia è reato penale; al contrario le direttive anticipate e le cure palliative costituiscono lo strumento più efficace nella riduzione della sofferenza nelle fasi finali della vita , nei diversi contesti in cui questo avviene, in ospedale, a domicilio o in Hospice.
Inoltre il testamento biologico non vìola e non intacca alcun principio morale e religioso e rappresenta un diritto che nessuno contesta, se il cittadino è cosciente e può personalmente comunicare la propria decisione di rifiutare le cure. Ciò che caratterizza il testamento biologico (come ogni altro testamento) è l’anticipazione delle dichiarazioni delle proprie volontà in merito all’ accettazione o al rifiuto delle cure. Si tratta di decidere prima per una circostanza o un tempo in cui il cittadino potrebbe non essere più in condizione di decidere. Che cosa c’è di immorale o di offensivo per la religione cattolica in questa comunicazione preliminare di volontà?” Eppure la Commissione Sanità del Senato Italiano (come il Comitato Nazionale per la Bioetica) non riesce a pervenire ad una decisione proprio perché opera in una specie di stato d’assedio, in ostaggio di Senatori che , pur di fermare la discussione sulle varie proposte di legge approdate ad un testo unificato ( relatrice la senatrice Bassoli) , frappongono ostacoli di ogni genere, ora di procedura, ora di sostanza, ora di puro espediente (come l’introduzione di una norma che consente “obiezione di coscienza” ai medici, cioè il potere arbitrario di negare il diritto già espresso dal paziente a decidere sulle sue cure).
Nel suo saggio Stefano Rodotà dimostra che con il comportamento del medico Riccio (che ha posto fine alla sofferenza inaudita di Piergiorgio Welby) e con la proposta di legge sul testamento biologico del senatore Ignazio Marino, siamo con certezza e senza equivoci dentro il territorio della legalità e sotto la protezione delle garanzie costituzionali. Del resto, è proprio l’articolo 32 della nostra Costituzione ad affermare che “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.”
Il libro “Il dolore e la politica” non solo ha il merito di fare chiarezza fra concetti troppo spesso, volutamente, confusi, ma costituisce un'importante occasione per approfondire la riflessione sul confine tra la vita e la morte e sulla libertà dell'individuo di fronte al termine dell'esistenza.
Il continuo progresso delle scienze mediche e delle biotecnologie consente di "tenere in vita" i corpi malati ben oltre i termini e i tempi finora conosciuti.
Ne consegue che il confine fra cura doverosa e accanimento terapeutico è sottilissimo e può essere tracciato solo con difficoltà; e che quel confine sfugge, spesso, alla capacità di conoscenza e di controllo del diretto interessato: il paziente. Da qui discendono interrogativi ineludibili: è opportuno fissare un limite a questo protrarre l'esistenza? E qual è il ruolo della volontà individuale - del titolare del corpo malato - nell'indicare tale limite? Esaltare la mera sopravvivenza dell’organismo biologico a scapito di quella dimensione spirituale che ci caratterizza come esseri umani non significa forse cadere nel materialismo? La nostra umanità e la nostra moralità dovrebbero concretizzarsi proprio nel tentativo di ridurre la sofferenza socialmente evitabile. Non potrà esserci rispetto per il dolore finché non si accetterà di rispettare le scelte che il singolo compie per governarlo.
A cura di Elisa Valdambrini