A pochi giorni dalla sentenza della Cassazione Civile, in un dibattito televisivo si sono confrontati sul tema: il padre di Eluana, il Sen. Ignazio Marino e il Prof. Francesco D'agostino.
In una puntata di “ Primo Piano”, spazio di approfondimento culturale del Tg 3 RAI, il 17 ottobre scorso si è tenuto un’interessante confronto sulla decisione della Cassazione di celebrare un nuovo processo sul caso di Eluana Englaro, la ragazza entrata in coma irreversibile 15 anni fa, in seguito ad un incidente stradale.
In studio erano presenti Giuseppe Englaro (padre di Eluana Englaro, che dal 18 gennaio del 1992 “vive” in stato vegetativo permanente); il Sen. Ignazio Marino (Medico chirurgo e Presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato) ed il Prof. Francesco D’Agostino (Ordinario di Filosofia del Diritto all’Università di TorVergata e Presidente onorario del Comitato Nazionale di Bioetica); la conduzione della trasmissione è stata affidata, in tale occasione, a Maurizio Mannoni.
La trasmissione ha avuto inizio proponendo una breve cortometraggio sulla storia di vita di Eluana, ripercorrendo quegli eventi che hanno indotto e tutt’ora vedono impegnato il padre di Eluana, nella motivata volontà di sostenere quelle certezze così limpidamente espresse dalla figlia in relazione alla realtà delle cure intensive e delle decisioni di fine vita.
Eluana, ragazza descritta dal padre come ribelle, a tratti indomabile, ma anche giudiziosa e da sempre appassionata di mare e di sci, proprio in occasione di un grave incidente accaduto ad uno sciatore della nazionale italiana, disse fermamente: “se succedesse a me non lasciatemi in quelle condizioni, preferirei morire dignitosamente”. Eluana non poteva concepire “la vita a metà”, così definiva l’esistenza di chi si trovava in coma, ed anche in altre occasioni ribadì chiaramente la sua motivata certezza. Eppure, dal giorno di quel tragico incidente automobilistico, Eluana è sottoposta a nutrizione artificiale tramite l’impiego di un sondino naso gastrico.
Maurizio Mannoni, aprendo il confronto tra i presenti, prospetta come la decisione della Cassazione di celebrare un nuovo processo possa tradursi nella concreta possibilità di autorizzare la sospensione dell’alimentazione artificiale soltanto a due condizioni, che lo stato di coma sia irreversibile e che non vi sia fondamento medico per l’ipotesi di un recupero della coscienza e che sia accertato che Eluana volesse proprio questo.
Dunque, secondo la Cassazione, il malato ha diritto di morire ed il rifiuto della terapia non è da intendersi come atto eutanasico; ci troveremmo, quindi, di fronte ad una svolta che comprende scienza e coscienza, che divide la politica, anche trasversalmente.
Nella volontà di definire meglio il percorso di informazione intrapreso dalla figlia prima dell’incidente, Giuseppe Englaro ribadisce come in casa Englaro prima del Gennaio 1992 le tematiche di fine vita fossero già state affrontate nella sua complessità, attraverso il dialogo su esperienze accadute a conoscenti, così come in casi pubblici quali quello di Nancy Cruzan.
Esisteva, dunque, un accordo tacito al riguardo,per cui che i familiari si sarebbero dovuti impegnare affinché ,nel caso,Eluana non fosse lasciata in quelle condizioni, che lei per prima, ricordiamo, non condivideva.
Il padre di Eluana altrettanto esplicitamente si dichiara convinto che non esistano spazi di dubbio per il recupero della coscienza per sua figlia,ormai da anni in stato vegetativo; nessuno è mai riuscito a mettersi in contatto con sua figlia ed anche il neurologo, che da anni la segue, ha ribadito che ormai le condizioni di irreversibilità sono certe.
Il Prof. D’Agostino, d’altra parte, riferisce come le principali Società Scientifiche di Anestesisti e Rianimatori attribuiscano scarsa autorevolezza al concetto di irreversibilità dello stato di coma, dimostrandosi ulteriormente dubbioso anche sulla decisione della Cassazione di avallare testimonianze puramente verbali.
Il Sen. Ignazio Marino, che per anni ha svolto l’attività di medico chirurgo, sottolinea come in letteratura sia riportato che, dopo 6 mesi di coma, le possibilità che una persona si risvegli siano davvero irrisorie e ricordando i rarissimi casi di risveglio, si possa affermare come non esista nella storia un solo caso che dopo tanti anni si sia risvegliato da quella condizione.
Spostando l’attenzione da quello che può apparire un dibattito etimologico sul concetto di irreversibilità, i presenti in studio si sono confrontati su cosa possa significare il “ prendersi cura” di una persona che, improvvisamente ,si trova con un grave stato di malattia.
Il Prof. D’Agostino ribadisce, a tal proposito, come a suo parere anche esperienze simili appartengano pur sempre alla vita e quindi come gli appaia impensabile trascurare il diritto alla cura, all’assistenza, quindi alla salute, che rimane pur sempre un diritto costituzionale che non deve venir meno neppure di fronte ad una malattia invalidante. Il rischio di avvallare l’abbandono terapeutico di tutti quei pazienti in stato di gravissima alterazione, potrebbe giustificare,secondo lui, atti clinici ed umani privi di qualsiasi fondamento scientifico ed umano.
A giudizio del Sen. Marino, spostare l’attenzione dal concetto di terapia così come dal “distacco della spina”, potrebbe far emergere il vero problema, quello cioè della tutela del diritto di ogni singolo individuo di poter decidere a quali terapie sottoporsi e a quali, per propria volontà, sottrarsi.
L’esistenza di una tecnologia non dovrebbe, dunque, permettersi di giustificare “atti non-naturali”, quali quelli di fornire una nutrizione enterale, cioè un’alimentazione sintetizzata artificialmente e poi fornita alla persona attraverso un tubo, inserito e poi fermato con punti chirurgici, nell’addome di una persona: “davvero ciò può essere inteso come processo fisiologico di alimentazione?”, si domanda il Sen. Marino.
A questo punto Giuseppe Englaro, ridefinisce con fermezza la propria convinzione su quanto l’attuazione di pratiche cliniche estrinseche alla persona costituisca una vera e propria invasione del corpo altrui, priva pur sempre di una qualsivoglia autorizzazione e proprio in tale direzione, a suo giudizio, si sarebbe orientata la sentenza emessa dalla Cassazione, nella volontà, cioè, di ristabilire e tutelare la dualità medico- paziente attraverso la nomina di un tutore.
Il diritto di rifiutare le terapie avrebbe validità, secondo il Prof. D’Agostino, unicamente per le “terapie” e quindi non per la nutrizione ed idratazione, che simbolicamente rappresentano l’atto più alto di solidarietà umana. E poi, davvero Eluana era informata del tempo necessario per morire? Chi ci da certezza che il suo consenso era conseguenza di un’adeguata informazione?
Soffermandosi sul paradosso che il giudizio altrui possa assumere più significato e potere decisionale di ciò che, precedentemente espresso con fermezza da chi ormai è paziente incapace di esprimere la propria volontà, viene adesso riferito da chi da sempre vive vicino a lei, i presenti in studio proseguono nel loro confronto.
Se per il padre di Eluana è da ritenersi “conturbante” creare situazioni che in natura non esistono (prolungamento della vita e delle sofferenze di chi altrimenti sarebbe fisiologicamente morto), per il Sen. Ignazio Marino casi simili sottolineano l’importanza e l’urgenza di una legge che tenga conto delle indicazioni della persona, senza spingersi dunque in atti incomprensibili che permettono ad altri di prendere decisioni per noi stessi.
Le testimonianze sulle volontà di Eluana, infatti, ci dicono che lei è realmente entrata in contatto con il problema ed ha riflettuto su esperienze che parlano di “fine della vita” e proprio in questa direzione occorre una legge che si basi su situazioni reali.
Se, come ricorda il Prof. D’Agostino, il Comitato Nazionale di Bioetica ha approvato 5 anni fa un documento sul testamento biologico, per quale motivo allora, pur disponendo di un testo che ha visto la convergenza unanime di diverse voci etiche di cattolici e laici, i Parlamentari non si impegnano per dibatterne e renderlo “ testo di legge”?
Tra quesiti insoluti e divergenze così abissali, quanto condivisbili, Giuseppe Englaro richiama i presenti in studio, ma anche tutti noi, a riflettere sull’incontestabile verità che venire al mondo non debba e non possa significare dover sopportare tutto ciò che la scienza conosce, o meglio, di cui crede di poter disporre.
A cura del dott. Jacopo Lanini. Psicologo, Master di cure Palliative di Firenze.