Venerdì 22 maggio 2009 presso l’aula grande del Cubo al Polo biomedico dell’Ospedale di Careggi si è tenuto il secondo seminario del 2009, organizzato dal Gruppo GR.E.CA.LE (Gruppo Etico Careggi Leniterapia) sul tema “La continuità Assistenziale nelle cure di fine vita e nella malattia a prognosi infausta”.
L’incontro si è articolato in due momenti: il primo in cui diversi esperti del settore hanno analizzato il problema relativo alla presa in carico del malato, il riconoscimento dei bisogni, l’ascolto e la pianificazione dell’assistenza; e il secondo legato al tema del passaggio dalla terapia attiva alle cure palliative, vista come una forma di continuità assistenziale per prendersi cura delle persone alla fine della vita.
Nella prima sessione della giornata che si è aperta con l’introduzione della prof.ssa Rosa Valanzano, Presidente del Corso di Laurea di Medicina,che auspicava un maggior avvicinamento all’analisi e allo studio di questi temi, e del prof. Andrea Lopes Pegna, moderatore insieme al dott. Alessandro Bussotti della prima parte del seminario, si sono alternati gli interventi della dott.sa Laura Doni, del dott. Stefano Grifoni, del dott. Alessandro Morettini e del dott. Luigi Rinaldi, che riportando l’esperienza del reparto in cui operano (Oncologia, Pronto soccorso, Medicina, Ematologia), hanno riferito il proprio punto di vista in merito ed hanno evidenziato le criticità che emergono in un contesto lavorativo così complesso come quello legato alle cure di coloro che arrivano alla fase finale della vita,sia improvvisamente,che dopo un lungo percorso di malattia.
Innanzitutto si è parlato della identificazione di quale sia il malato a prognosi infausta di cui ci si debba occupare all’interno di una struttura sanitaria e quale sia la modalità più corretta per accogliere e accompagnare un paziente che si trovi nell’ultima fase di vita, poiché, non potendo intraprendere cure volte a guarirlo, si crea una forma di disagio tra le figure professionali che lo accolgono, in quanto queste vengono a scontrarsi sia con le sue attese-speranze di cura sia con quelle della sua famiglia.
Il paziente che non può guarire e/o è morente diviene quindi un “problema” per l’èquipe,anche perché manca una rete comunicativa e di supporto adeguata che aiuti sia il paziente che i medici, gli infermieri etc. nella loro pratica professionale.
Lo staff medico, infatti, nelle situazioni “senza speranza” non può far altro che alleviare le sofferenze del paziente e iniziare a proporre un nuovo modello assistenziale che non sia più basato su cure intensive, ma sul modello centrato su “tempo di cura e di accoglienza”, volto a produrre miglioramenti nella qualità della vita del paziente, pur se non potrà prolungarne la durata.
Soprattutto, infatti, è necessario chiedersi quale sia “il limite della cura” in determinate circostante e chi abbia il diritto di decidere in merito, se il medico, i familiari del malato o il paziente stesso, che ancora, in troppi casi, viene espropriato del proprio diritto di scelta.
A seguito della prima sessione e della discussione emersa, si è passati ad analizzare, con l’apporto delle due moderatrici della seconda parte dell’evento, Donatella Carmi Bartolozzi, presidente della Fondazione File e la dott.sa Mariella Orsi, vicepresidente della Commissione Bioetica della Toscana, le problematiche relative alla continuità assistenziale con le relazioni della dott.sa Patrizia Brugnoli (fisioterapista), il dott. Mauro Ciaccheri (cardiologo), il dott. Mario Lino (Casa di Cura Villa Le terme e Falciani) e il dott. Piero Morino (UCP ASL Firenze).
Dai loro interventi è emerso come sia problematico avere un approccio palliativo non solo per i malati oncologici, per i quali il percorso del passaggio dalle terapie intensive alle cure palliative è più delineato, ma per tutti i pazienti a prognosi infausta; le cure palliative spesso contrastano con le terapie attive che i pazienti hanno avuto in precedenza e che in molti casi non sono più di alcuna necessità a causa dello stato in cui essi versano; quindi, quando le terapie non hanno più alcun effetto benefico, risulta utile spostare l’attenzione verso un accompagnamento verso la fine vita, in quanto anche il percorso del morire è un percorso di cura.
Bisogna quindi accettare che la vita raggiunga il suo termine e che il paziente possa avere la libertà di scelta, aiutandolo a raggiungere quella che per lui risulta essere una buona morte.
A cura della dott.ssa Emilia Uccello