Uno studio condotto da Lyon M.E. e altri ricercatori, pubblicato a Febbraio sulla rivista Pediatrics [123(2):e199-206] chiarisce come la conversazione sulle scelte di fine vita tra adolescenti che soffrono di malattie croniche e i loro familiari non scoraggia, né causa danni emotivi ai giovani pazienti.
Come devono comportarsi i genitori quando un figlio è affetto da una malattia cronica che evolverà, quasi sicuramente, in modo nefasto?
Fingere che tutto vada bene in presenza del ragazzo per non turbarlo per poi fare strazianti ipotesi in stanze chiuse? O mettere, nuda e cruda, la verità su un piatto?
E ancora, tenerlo alla larga da scelte, anche drammatiche, che potrebbero riguardarlo in un futuro più o meno prossimo, perché ancora immaturo e incapace di discernere razionalmente? O coinvolgerlo, a rischio di renderlo pienamente consapevole del potenzialmente tragico destino che lo attende?
Domande di non facile soluzione, a cui uno studio pubblicato sulla rivista Pediatrics offre però parziali risposte, mettendo qualche saldo mattoncino, non su cosa sia giusto fare, ma sulla capacità dei ragazzi di affrontare questi delicati argomenti.
La ricerca, frutto di una sperimentazione condotta su adolescenti affetti da HIV/AIDS al Children’s National Medical Center (Washington) e al St. Jude Children’s Research Hospital (Memphis), chiarisce infatti che la conversazione sulle scelte di fine vita tra adolescenti che soffrono di malattie croniche e i loro familiari non scoraggia, né causa danni emotivi ai giovani pazienti. Anzi, consente al giovane di essere informato e aiutato a prendere le decisioni che potrebbero influire sulla sua esistenza.
Purché il dialogo sia inserito in adeguati programmi di supporto.
LO STUDIO
“Molti adolescenti esprimono la volontà di parlare dei loro obiettivi e dei loro valori in merito alle decisioni di fine vita, cosa coerente con l’opinione che gli adolescenti con una patologia che possa mettere a rischio la loro vita debbano essere coinvolti in queste discussioni”, scrivono i ricercatori. Tuttavia, “a causa di una percepita (e ingiustificata) paura che esse possano causare ansia e perdita di speranza, a queste importanti discussioni spesso non si dà avvio fino all’arrivo di una crisi medica ”.
Come criticare i genitori: “Per molti di essi – ha dichiarato Maureen Lyon, una delle autrici dello studio – anche solo pensare alla possibilità che in futuro eventi minacciosi possano accadere ai propri figli è difficile. Pensiamo a cosa significhi quando vengono lasciati soli a discutere di cosa potrà accadere con un bambino o ragazzo già malato”.
Tuttavia, non parlarne, non pianificare anticipatamente, “crea non pochi problemi a famiglie e operatori sanitari quando, in presenza di una crisi, emergono conflitti o le preferenze di fine vita sono sconosciute”.
Queste, dunque, le ragioni da cui nasce lo studio: “valutare gli effetti a breve termine della «pianificazione sanitaria anticipata centrata sul dialogo famiglia-adolescente» (FACE)”
Articolata in tre fasi, la ricerca ha dato vita a un percorso che portasse alla piena consapevolezza dei ragazzi e delle famiglie e, alla fine, a una scelta informata che avesse anche valore legale.
Arruolati adolescenti dai 14 ai 21 anni con HIV/AIDS, che non presentassero ritardi nello sviluppo, depressione, pensieri suicidi o omicidi, nessuna evidente demenza o psicosi, il gruppo ha loro sottoposto innanzitutto un’intervista tesa a rilevare chi di loro volesse essere coinvolti in scelte riguardanti il trattamento a fine vita. Un’ulteriore intervista, in un secondo momento, ha consentito di comprendere quale fosse la rappresentazione della malattia negli adolescenti.
A tal punto è iniziato il confronto tra adolescenti e genitori supportato da un moderatore opportunamente addestrato. Da questo sono emerse paure, valori, obiettivi ed esperienze, con particolare attenzione alla morte.
Alla fine del percorso, la decisione. L’adolescente ha compilato il 5Wishes, un opuscolo con valore legale in cui sono espressi cinque desideri (5wishes, appunto): “La persona che io voglio che prenda decisioni sulla mia salute se io non posso farlo; Il tipo di trattamenti medici che io voglio o non voglio; Quali conforti voglio; Come voglio che le persone mi trattino; Cosa voglio che i miei cari sappiano”.
Questo documento è stato inserito nella cartella clinica del ragazzo e una copia è stata lasciata al medico curante e alla famiglia.
Tirando le somme dello studio, Lawrence D’Angelo, uno dei ricercatori ha dichiarato: “Il nostro lavoro offre evidenze empiriche che gli adolescenti possono comprendere e prendere parte alle decisioni relative alle questioni di fine vita”. Sono, insomma, meno immaturi di quanto si creda. Come conferma inoltre il fatto che alla domanda “quanto in dettaglio vuoi che il tuo sostituto rispetti le tue volontà” il 72% ha risposto “faccia quello che crede migliore in quel momento, ma sempre tenendo in considerazione le mie volontà”.
Fonte: www.partecipasalute.it