Il connubio tra malattia e narrazione oggi.
Date al dolore la parola; il dolore
che non parla, sussurra al cuore
oppresso e gli dice di spezzarsi.
W. Shakespeare, Macbeth, atto IV scena 3
Sempre più spesso le storie di malattia prendono corpo sulla carta stampata e vengono pubblicate sia in collane di editori nazionali sia come pubblicazioni di Associazioni di Volontariato.
Tali pubblicazioni, oltre ad essere testimonianza di chi ha vissuto o continua a vivere questo stato, non hanno la pretesa di fornire delle risposte a tutte quelle innumerevoli domande che si affollano nella mente di chi legge, ma risultano essere piuttosto un possibile tentativo di far comprendere agli altri e in primis al personale sanitario il proprio vissuto di malato.
Vivere la malattia è già di per se estremamente duro, ma raccontarlo può esserlo ancora di più, in quanto narrare quello che si sta vivendo sulla propria pelle può essere molto difficile: le parole, molto spesso, non sono in grado di rendere giustizia ai sentimenti di chi è malato e di chi in quel momento si trova ad essergli accanto.
Ciascuna storia raccolta o raccontata, anche se può sembrare comune, in realtà risulta essere unica, poiché unici sono i sentimenti di chi ne è coinvolto.
Insieme al punto di vista del protagonista, in queste narrazioni, il più delle volte si possono cogliere le diverse prospettive degli altri personaggi presenti sulla scena, come i familiari, il medico curante, il medico palliativista, l’infermiera, cioè tutte quelle figure che sono arrivate ad assumere, nel corso del tempo, un ruolo più o meno importante accanto al paziente e che lo hanno accompagnato fino al momento del suo atto finale.
Attraverso strumenti come diari, interviste aperte, colloqui o semplici registrazioni, ogni soggetto, a modo suo, ha avuto la sua possibilità di far sentire la propria voce e di narrare ciò che ha vissuto o sta vivendo sulla propria pelle, in misura più o meno maggiore, esprimendo ogni più piccolo sentimento dalla rabbia alla rassegnazione, dal dubbio alla certezza.
Ogni storia, ogni racconto, risultano essere un segno, una piccola traccia, che vengono raccolti e preservati, affinché tutto ciò che è stato provato non sia stato vano ed inutile, ma anzi serva ad altri e resti come testimonianza della propria esistenza e della propria esperienza.
Il dolore, la sofferenza e anche la morte dei protagonisti di questi racconti, portano molto spesso chi legge, oltre che a fare un’attenta analisi relativa alla qualità delle cure di fine vita, anche, a porsi delle domande e degli effettivi interrogativi relativi a tutte quelle problematiche che sorgono intorno a chi è affetto da patologie così gravi, come il domandarsi, ad esempio, come informare il malato riguardo alle proprie condizioni di salute e se siano opportuni in queste fasi trattamenti che spesso risultano essere futili.
Queste pubblicazioni, quindi, non risultano essere solo un mero strumento di testimonianza, ma anche un nuovo mezzo d’analisi e di lavoro per tutte quelle persone che, coinvolte in tale ambito, vogliano trovare delle risposte personali e, allo stesso tempo, cercare le modalità più opportune per dare sostegno nella maniera più adeguata possibile ai malati nella fase terminale della vita.
In conclusione non possiamo far altro che auspicare nuove pubblicazioni su questo versante affinché siano, oltre che testimonianza un utile strumento di miglioramento delle cure e di aggiornamento del personale sanitario.
A cura dott.ssa Emilia Uccello