Relazione sul corso "La comunicazione delle cattive notizie"

Relazione sul corso d'aggiornamento, "La comunicazione delle cattive notizie", promosso dall'Associazione il GR.E.CA.LE., tenutosi il 3 ottobre 2007 presso L'Aula Magna di Villa Pepi, a Careggi.

Il 3 ottobre 2007 si è svolto c/o l’Aula Magna di Villa Pepi, Careggi, il corso di aggiornamento “La comunicazione delle “cattive” notizie” promosso dall’Associazione GR.E.CA.LE. Gli obiettivi del corso sono stati quelli di: comprendere il valore del ruolo prioritario del paziente nel sistema di comunicazione: paziente - equipe dei sanitari - familiaricomprendere l’importanza della corretta e chiara informazione per il consenso del paziente alle procedure diagnostiche e terapeuticheconoscere il valore attuale delle dichiarazioni anticipate di curaconoscere la corrette modalità della comunicazione delle “cattive” notizieconoscere l’importanza del rapporto empatico nella comunicazione delle “cattive” notizieconoscere i vantaggi e i limiti di una buona comunicazionemigliorare la comunicazione col paziente e coi familiari nella fase terminale della vita.Il corso ha visto, nella prima parte della mattinata, la partecipazione del Prof. Conti che ha illustrato la “Carta di Firenze”, della Dr.ssa Orsi che ha affrontato la tematica del sistema di comunicazione tra paziente - equipe dei curanti - la famiglia, del Prof. Norelli che ha parlato degli aspetti medico - legali della comunicazione col paziente, del Dr. Lopes Pegna che ha svolto la relazione sulla formazione alla comunicazione delle “cattive” notizie. Il Dr. Boncinelli ha poi parlato della comunicazione in rapporto al malto critico e il Dr. Morino della comunicazione con il paziente e con i familiari nella fase terminale della vita. Nella seconda parte della mattinata sono stati affrontati i temi della comunicazione da parte dei professionisti sanitari non medici (Dr. D’Addio), della comunicazione come vissuta dai pazienti (con l’ausilio di un video con intervista a donne operate di neoplasia mammaria) (Dr.ssa Manca e Susini) e della risposta psicologica alla comunicazione delle “cattive” notizie come vissuta dal paziente e dal medico (esperienza con i soggetti sieropositivi per HIV) (Dr.ssa Santoro). Nel pomeriggio è stata eseguita un’esercitazione con l’ausilio di un video con casi simulati.La partecipazione al corso è stata accompagnata da discussione molto vivace. Presenti oltre 50 operatori sanitari, rappresentati nel 75% da infermieri prevalentemente di Careggi. All’inizio della mattina è stato loro consegnato un questionario sulla tematica dell’aggiornamento; il questionario è stato elaborato durante il corso e al termine sono stati presentati i risultati. Nel 57% dei casi gli operatori comunicano “cattive” notizie >_1 volta al mese e nel 31% 1-2 volte alla settimana. Nel 50% degli intervistati viene considerata una “cattiva” notizia quella che l’ammalato percepisce come “cattiva” e non quello percepito come cattivo dai familiari/società o dai sanitari. Nell’80% dei rispondenti la “cattiva” notizia è considerata sia una malattia a prognosi infausta, che una malattia che porta a disabilità permanente, che una malattia cronica, curabile ma inguaribile. Il 78% degli intervistati si sente o scarsamente preparato o assolutamente impreparato da comunicare “cattive” notizie. Il 97% ritiene giusto dire sempre o quasi sempre la verità. Nessuno ritiene che cambi il comportamento dei sanitari di fronte alla comunicazione della diagnosi rispetto a quella della prognosi. Di fronte a una famiglia che precede il colloquio con l'ammalato dicendo: "mi raccomando che non venga detta la verità riguardo alla malattia del mio caro", il 76% degli intervistati si sente impegnato ugualmente a rispettare le volontà dei pazienti senza attenersi al desiderio della famiglia. Di fronte all'insuccesso della terapia per una malattia dal possibile esito letale, la maggior parte degli intervistati (57%) riferisce di avere parlato unicamente con la famiglia e solo il 21% direttamente con l’ammalato. Dopo avere comunicato l'insuccesso dei trattamenti, di fronte alla richiesta di cure alternative dalla provata inefficacia, il 77% degli intervistati ha preso lo spunto per affrontare la riflessione sulla condizione attuale dell’ammalato e sulla prognosi futura e non ha eseguito qualunque terapia alternativa, dando la falsa speranza nel suo successo. La maggior difficoltà negli aspetti comunicativi è stata riferita nel dare la prima diagnosi di malattia grave, nell’affrontare la recidiva o aggravamento della malattia e nell’affrontare l’impossibilità ad eseguire ulteriori terapie; minor difficoltà è stata riferita nel dover essere sinceri nella comunicazione.Sintesi della relazione del Dr. Lopes Pegna: “La formazione alla comunicazione delle cattive notizie”Ippocrate consigliava: “Nascondi la maggior parte delle cose al paziente che assisti. Dai le prescrizioni necessarie con allegria e serenità … non rivelando niente sul futuro del paziente o sulla sua attuale condizione. Per molti pazienti … peggiori la situazione … facendo previsioni su quello che accadrà”. Nel primo codice dell’etica medica dell’American Medical Association del 1847 si asseriva: “La vita dell’ammalato può essere accorciata non solo dagli atti, ma anche dalle parole e dal comportamento del medico. È quindi dovere sacro di proteggere l’ammalato attentamente a questo riguardo ed evitare tutto quello che tende a scoraggiarlo e a deprimerlo”. Già però Maimonide (1138 – 1204) affermava: “Poiché Dio dà all’uomo l’obbligo e la responsabilità di preservare la propria vita, deve essere l’uomo stesso l’ultimo a decidere sul proprio corpo”. I pazienti hanno diritto di decidere, su quanto vogliono sapere e i medici devono essere addestrati a dire la verità in modo empatico e compassionevole (Commentario di Mishnà Nedarim 4.4). Il nostro codice deontologico medico oggi asserisce all’Articolo 30 sull’Informazione al cittadino: “Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate; il medico nell’informarlo dovrà tenere conto delle sue capacità di comprensione, al fine di promuoverne la massima adesione alle proposte diagnostico-terapeutiche. Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente deve essere soddisfatta. Il medico deve, altresì soddisfare le richieste di informazione del cittadino in tema di prevenzione. Le informazioni riguardanti prognosi gravi o infauste o tali da poter procurare preoccupazione e sofferenza alla persona, devono essere fornite con prudenza, usando terminologie non traumatizzanti e senza escludere elementi di speranza. La documentata volontà della persona assistita di non essere informata o di delegare ad altro soggetto l’informazione deve essere rispettata”.Negli ultimi anni (da 20 – 30 in Nord America e Nord Europa, più tardivamente negli altri Paesi) dal modello paternalistico della cura del paziente si è passati all’enfasi della autonomia e della autorità del paziente. La revisione della letteratura ha dimostrato che il 50-90% dei pazienti vogliono essere completamente informati di fronte a una diagnosi di fase terminale. Poiché una considerevole minoranza di pazienti ancora non vogliono una informazione completa, i medici devono sondare quanto il singolo paziente desideri essere informato. È stato detto correttamente che la pratica della menzogna non può essere però rimediata in modo istantaneo dalla nuova routine di dire la verità in modo insensibile (Holland JC J Clin oncol 1989; 7: 557-9). Per “cattiva” notizia si intende ogni notizia che drasticamente e negativamente altera la propria visione del futuro da parte del paziente; è quella notizia che determina un deficit cognitivo, comportamentale o emozionale nella persona che la riceve e che perdura del tempo. L’individuazione di quale notizia sia “cattiva” costituisce comunque un giudizio soggettivo da parte di chi la riceve, così quando il medico presume di dare una cattiva notizia, può influenzare la risposta del paziente; Shakespeare diceva: “Nothing is either good or bad, but thinking makes it so”.
Riguardo alle preferenze del paziente nella comunicazione in merito al cancro P. A. Parker e Coll. (J Clin oncol 2001; 19: 2049-2056) riportano il risultato di un questionario eseguito ad ammalati di cancro da dove si evince che viene da loro ritenuto più importante che il medico sia aggiornato, che offra la migliore terapia, e che altresì abbia anche il tempo di rispondere con sincerità alle domande poste dal paziente, rispetto ai bisogni di consolazione.
H Miyata e Coll. (J Med Ethics 2005; 31: 447-451) illustrano nella loro indagine eseguita sempre su ammalati di cancro, come l’86% degli intervistati desiderino avere una completa illustrazione della diagnosi della loro malattia, mentre solo il 30% desidera avere una completa informazione sulle prospettive di guarigione e di sopravvivenza; d’altro lato SE Lind e Coll. (J Clin oncol 1989; 7: 583-589) affermano, a seguito di un’indagine eseguita su 55 pazienti affetti da cancro intervistati consecutivamente (il 36% dei quali in cure palliative), che per più della metà è più importante conoscere la prognosi rispetto alla diagnosi.WF Bayle e Coll. (J Clin oncol 2002; 20: 2189-2196) prendono in esame le difficoltà dei medici a comunicare le “cattive” notizie; nel loro studio eseguito intervistando 167 o­ncologi interessati alla problematica di come comunicare le “cattive” notizie, la difficoltà maggiore è rappresentata dalla comunicazione dell’impossibilità ad eseguire ulteriori terapie oncologiche per il paziente con cancro. Dallo stesso studio emerge che soprattutto i medici di Paesi non Occidentali spesso (molto più raramente i medici dei Paesi Occidentali) non comunicano “cattive” notizie, almeno che il paziente non lo richieda specificatamente, e si astengono dalla comunicazione col paziente se la famiglia lo richiede. La preparazione del medico si é sempre basata sulle sue competenze tecniche e non sulle capacità comunicative; così i medici si possono sentire impreparati o possono avvertire in modo ingiustificato di avere abbandonato il paziente. Diversi gruppi professionali (prevalentemente in ambito oncologico) hanno stilato delle linee guida, ma solo poche di queste sono basate sull’evidenza. Tra le linee guida più raccomandate si ricorda il protocollo conosciuto con l’acronimo ABCDE (RW Rabow e Coll. West J Med 1999; 171: 260-3) e il protocollo SPIKES (WF Bayle e Coll. The oncologist 2000; 5: 302-311). ABCDE è basato sui seguenti punti: A = Advance preparation– Preparazione anticipata; B = Build a therapeutic environment/relationship – Costruisci un ambiente/relazione terapautico; C = Communicate well – Comunica bene; D = Deal with patient and family reactions – affronta le reazioni del paziente e dei familiari; E = Encourage and validate emotions – Incoraggiare e comprovare le emozioni. Anche il protocollo SPIKES si basa su tappe simili che dovrebbero essere seguite nella comunicazione: S = Setting up the interview – Preparare il colloquio; P = Assessing the Patient’s PERCEPTION – Inquadramento del paziente; I = Obtaining the Patient’s INVITATION – Invitare il paziente a parlare; K = Giving KNOWLEDGE and Information to the Patient – Conoscenza e Informazione; E = Addressing the Patient’s EMOTIONS with Empathic Responses – Indirizzare le emozioni; S = STRATEGY and SUMMARY – Strategia del colloquio e sommario.
In merito all’importanza di essere preparati a ben comunicare, Jeremy Geffen autore del libro “Journey Through Cancer” afferma che: "Piccole cose possono cambiare la reazione del paziente: se il medico ha fretta, se è seduto o sta in piedi, se è seduto vicino o lontano, se guarda negli occhi o guarda le carte, se sta vivendo frustrazione, incertezza, impazienza o confidenza mentre parla”.
Le linee guida chiamate NURSE (RC Smith “Patient-centered interviewing: an evidenced-based method. Philadelphia: Lippincott Williams & Wilkins; 2002) insegnano a come rispondere alle emozioni. NURSE è basato sui seguenti punti: N = NAMING - Dare un nome alle emozioni del paziente (“mi domando se vi sentite adirato”); U = UNDERSTANDING - Comprendere le sensazioni del paziente, senza avere la tentazione di rassicurare subito; importante è anche l’ascolto in silenzio; R = RESPECTING – Riconoscere e rispettare le emozioni del paziente; S = SUPPORTING - Importante è far capire al paziente che sarete vicino a lui per tutto il percorso della malattia; E = EXPLORING - Cercare di conoscere di più sulle emozioni espresse dal paziente aumenta il rapporto di empatia.
Concludendo, nella comunicazione delle “cattive” notizie occorre evitare i seguenti comportamenti: 1) non bloccare il paziente quando solleva una preoccupazione e il medico non risponde o sposta il discorso: “quanto tempo mi rimane da vivere?” e si risponde “non si preoccupi di questo” o “come respira?”; 2) evitare di fare la lezione, dando al paziente un gran numero di informazioni senza consentirgli di rispondere o fare domande; le domande inespresse bloccano al comprensione di ulteriori informazioni; 3) evitare l’accordo tacito per cui, quando il paziente esita a sollevare argomenti difficoltosi, il medico non l’aiuta ad affrontarli; situazione di “non chiede, non parla”; solo se il paziente si assume la responsabilità di affrontare certi argomenti, allora il medico ne parla; così spesso non si parla della prognosi, della cura, della fine della vita; 4) evitare la rassicurazione prematura; quando il medico risponde alla preoccupazione del paziente prima di esplorare e capire bene la sua preoccupazione; questo avviene spesso quando i medici sentono di non avere il tempo di esplorare le preoccupazioni, che, se non completamente capite e indirizzate, successivamente riemergono. Comportamenti da coltivare sono invece: 1) Chiedere – dire – chiedere: la comunicazione non deve essere a senso unico; il medico deve prima sapere cosa il paziente sa e successivamente instaurare una relazione. Chiedere: “quale è l’argomento più importante da affrontare oggi?”, “cosa sa della sua malattia?”, “cosa gli hanno detto della sua malattia i medici con cui ha parlato?”; dire al paziente in modo semplice quello che è necessario comunicare; l’informazione dovrebbe essere data a pezzetti, non più di tre pezzi per volta, e poi fermarsi; chiedere: “sono chiare le notizie?”, “avete capito?”, “avete saputo quello che volevate sapere?”, “a chi riferirete a casa quello che avete saputo?”, “può ripetermi cosa ha capito?”; 2) Dire di più: “potrebbe dirmi qualcosa sulle informazioni che vorrebbe ancora sapere?”, “potrebbe dirmi qualcosa di come si sente in rapporto a quello che abbiamo discusso?”, “potrebbe dirmi qualcosa di cosa significa per lei quello che è stato discusso?”; 3) Rispondere alle emozioni: accogliere le reazioni del paziente non vuol dire essere d’accordo con queste; il medico potrebbe accettare che il paziente desideri essere curato per il cancro, ma non essere d’accordo che questo sia possibile.

A cura di Andrea Lopes Pegna

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