L’autrice è morta di Aids, dopo un lungo ricovero nella casa di accoglienza "S. Chiara" (a Padova), durante il quale ha tenuto un diario, divenuto libro per sua volontà e grazie alla disponibilità di numerosi amici: il volume non è in vendita, viene regalato a quanti vogliono "avvicinarsi" ai malati ed alla realtà di casa S. Chiara. Valeria racconta con semplicità la sua situazione, da quando arriva nella casa di accoglienza fino a che l’aggravarsi delle condizioni di salute le impedirà di scrivere. Alcune circostanze sono dolorose, ma inaspettatamente il tono dei suoi scritti è "leggero", a tratti perfino ironico, e su tutto prevalgono la speranza di poter tornare ad una vita "normale" e la voglia di amare. Nella "casa" nascono amicizie ed anche amori, come pure antipatie; alcuni dei ricoverati sembrano rinunciare a vivere anzitempo, Valeria certamente no, a dispetto della dipendenza dalla droga (di cui non riesce a liberarsi del tutto) e dei rapporti precari con la sua famiglia. C’è un passo in cui lei dice anche: "La vita non può essere fatta soltanto di mangiare, leggere, dormire, scopare, bere ... grattarsi!".