Un pomeriggio... un“ennesimo pomeriggio ”. Esperienze di reparto

Pubblichiamo di seguito un racconto di un'infermiera relativo ad un'esperienza vissuta in un reparto di rianimazione neonatale.

Lunedì pomeriggio torrido, mi incammino lentamente verso l’ospedale. Ho pensieri confusi, molte volte non si riesce a mettere a fuoco un bel niente; a forza di farsi domande il cervello va in corto. L’espressione del mio viso dice: “ dannazione anche oggi l’ennesimo pomeriggio di routine, scandito da attività, gesti sempre gli stessi, sempre le stesse parole”. Cedo perché non ho altra scelta. Entro in reparto, saluto i colleghi , e meccanicamente inizia la sequenza dei gesti: roba ordinaria in un reparto dove viene svolta un’attività straordinaria. Stancamente abbandonati sulle sedie e rassegnati all’approccio alla giornata, squilla il telefono, giunge l’allerta della sala parto. D’un tratto le manovre si velocizzano, la routine viene relegata ai posti liberi sulle gradinate, per vedere questa partita fra la vita e la morte per gli operatori non restano che poltronissime. Faccio una corsa dal medico di guardia, avverto che bisogna tenersi pronti per un “nato a termine asfittico” che viene ventilato a mano post intubazione endotracheale d’urgenza eseguita in sala parto. La dottoressa impreca e mormora qualcosa, io le dico che le colleghe hanno già predisposto tutto. I volti sono rigidi, momenti concitati, si preparano gli strumenti. Gli infermieri di turno in sala parto entrano velocemente in reparto con la culla muta. La creatura è nata da genitori di origine africana ma dall’esile corpicino emerge solo una colorazione grigia livida, non un gemito non un movimento. Il silenzio è surreale; trapelano indiscrezioni sul parto, le responsabilità, le accuse. I colleghi che hanno accompagnato il bambino nel nostro reparto sono ammutoliti e malgrado l’urgenza del momento hanno lo sguardo assente di chi mentalmente si ripete la sequenza dello scempio cui ha assistito. Io mi sento stralunata, vengo tenuta lontano dalla zona di manovra, troppo inesperta, sarei d’impaccio, e poi ci sono altri pargoli di cui occuparsi. La tensione cresce le operazioni si fanno sempre più convulse. Deve essere trasferito ad un centro di terzo livello qui non siamo tecnicamente in grado di prenderci cura della sua breve e già tormentata vita. Entra il padre che varca la soglia del reparto ed ho come l’impressione che sulla porta vi sia scritto quello che Dante trova scritto sulla porta dell’inferno “lasciate ogni speranza voi ch’entrate”; per fortuna non per tutti è così ma per quel piccolo universo quella era una discesa negli inferi. La dottoressa di guardia ricerca in sé le forze per comunicare a questo genitore preoccupato l’essenza di una realtà durissima; mette in fila una sequenza di procedure, di nomi di farmaci e di condizioni cliniche che richiedono trasferimento e cure superintensive ed ulteriori accertamenti. Il padre cerca di prendere aria e di raffigurarsi questo quadro tremendo; si scopre che è un medico chirurgo, l’aria è ancora più rarefatta. Nel frattempo ci viene comunicato che la madre è in rianimazione per una emorragia derivata dall’estremo sforzo in sala parto; non paghi veniamo a sapere che dopo due aborti spontanei questa era la prima gravidanza che la coppia riusciva a portare a termine. Nessuno in sala parto si era chiesto se fosse stato il caso di chiedere una qualche forma di consenso ad alcune delle procedure cruente alle quali sono stati sottoposti madre e figlio. Con le mani infilate nelle incubatrici per occuparmi dei nostri piccoli ospiti non potevo fare a meno di osservare lo sbigottimento del padre che guardava quel corpo solcato da tubi e quella pelle violata da fori. Borse del ghiaccio per portare ipotermia per avere neuro protezione delle funzioni cerebrali residue. Ho le lacrime agli occhi. Mi sono figurata la sala parto come uno scannatoio. Certo forte è la mia immaginazione ed esagerato il mio coinvolgimento emotivo, ma continuo a non capire; ad evitare di razionalizzare anche perché non c’è una razionalizzazione tale da poter lavar via l’indignazione e l’inquietudine. Giunge la squadra per il trasferimento con il fiato sospeso procediamo alla preparazione, al padre viene negata la possibilità di accompagnare il piccolo perché le procedure, i protocolli e le normative lo vietano; gli vengono distrattamente proposte alternative, poi un giovane medico si propone di accompagnarlo di persona al centro pediatrico. Si fa fatica a respirare. Al frastuono e alla fretta si sostituiscono il silenzio e la speranza.

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