…Quando arriva il momento di dirsi addio restano le parole-talismano. All’uno o all’altra, Pauline bisbiglia:”Ti penso per tutta la notte!”…”Ti penso per tutta la notte” significa: la notte non è che uno tra i momenti del mio pensiero in cui ti prendo (non avere paura di niente) con me. E se lei dice: “Ti penso per tutta la notte”, io capisco: abbi fiducia, abbi fiducia: nessuna notte, mai, sconfiggerà il pensiero dove tu vivi con me.
L’implosione del dolore per la morte della figlia all’interno della coppia genitoriale (…un padre, una madre, ai quali muore un figlio, si ritrovano orfani. Chi perde un figlio si vede proiettato nella stessa solitudine sgomentevole di chi, da piccolo, si ritrova senza i genitori); la difficile dicibilità tra i genitori del dolore e del vuoto lasciato; la scrittura come mezzo per mantenere viva la figlia e dare forma e senso al dolore stesso (Mi dicevo che se non avessi raccontato a me stesso la nostra storia non ne avrei mai capito il senso): sono questi gli ingredienti del secondo libro di Forest, Per tutta la notte (in attesa del terzo volume Sarinagara, che completerà la trilogia e che ha vinto il Prix Decembre 2004).
Nell’idea (comune, popolare, dettata dalla psicologia ufficiale e dalle teorie di elaborazione del lutto) che “il tempo” attenui e lenisca il dolore per la morte di una persona cara: “Ma la morte di nostra figlia ci aveva per l’appunto fatti uscire dal tempo dove vivono gli altri e, di colpo, non era più possibile che il tempo (dentro il quale noi non eravamo più) esercitasse su di noi quelle benefiche virtù attribuitegli dagli altri.”
Il dolore passa attraverso le parole (scritte) del padre scrittore e fendono il silenzio, inconsolabile, della madre.
È suggestiva e interessante come i corpi risentano del lutto, del dolore, attraverso ciò che li caratterizza; il contatto e l’appartenenza di un figlio “carne della propria carne” e come la sua morte/mancanza/ assenza mutili il corpo genitoriale.
“A volte (sempre più spesso) i nostri corpi facevano l’amore. I nostri corpi si conoscevano bene….Parevano l’un contro l’altro per qualcosa che non meritava menzione….Ciascuno dei due ce l’aveva col calore dell’altro…”
“In me, da me, manca un qualcosa che è lei…Manca qualcosa che fa sì che io non sia più me stessa, che abbia perso ogni possibilità di esserlo mai più…Mi vergogno perché ho la sensazione di non essere altro che un corpo decaduto…amputato…Mi hanno tolto quello che ero..Senza di lei io non sono più.”
La scelta di non avere altri figli nonostante le aspettative di tutti, anche come suggerimento per lenire il dolore, colmare il vuoto lasciato dalla morte della prima figlia: “Una nascita cancellava una morte.”
Lentamente il tempo sembra riacquistare un futuro: “Cominciavo a figurarmi gli espedienti da escogitare per farle vivere, tra Alice e me, una vita da bambina morta. .. Avevo la sensazione che il tempo, di colpo, cominciasse a esistere di nuovo, che una forma di futuro ritornasse concepibile.” Pag. 270, nonostante permanga e si rinnovi la consapevolezza della perdita e del dolore e della loro unicità: “Io, invece, pensavo: non sono mica tutti gli esseri che muoiono, ogni volta è uno soltanto di loro (sempre unico, e a volte amato infinitamente)…”
La consapevolezza del padre-scrittore che “restavano ancora da scrivere parecchi altri capitoli nei quali dire il disastro senza pietà della vita e, ancora e sempre, la cavità spalancata dell’assenza. ”
Il libro chiude con le parole della madre: “M’infilo i vestiti uno dopo l’altro ma non riconosco il mio corpo allo specchio. Appartiene a un’altra. Il mio vero corpo ce l’avevo quando Pauline era viva. Questo corpo invece m’imbarazza come un’apparenza che dica bugie mio malgrado. Parla di un’altra vita che non è la mia, da dove manca tutto ciò che dava un senso…”
“Resto io sola a provare a trattenerla con me da questo lato del mondo. Ma è un compito troppo grave e nessuno mi aiuta….Mi chiedo se questa bambina sia mai esistita la di fuori della mia immaginazione…Ma lei mi manca…Mi accompagna ovunque con la sua assenza…”
Libro corposo ma suggestivo del silenzio che permea le parole e il dolore, del biancore che traspare in ogni pagina e che rappresenta l’assenza.