Riportiamo di seguito l'articolo di Rosa a Marca pubblicato il 15 aprile su ADUC Salute in merito al tema del suicidio assistito in Svizzera.
In Svizzera l'aiuto al suicidio è punito solo se praticato per "motivi egoistici". E' l'unico precetto giuridico generale oggi vigente, al di là di alcune disposizioni a livello cantonale.
In questo quadro negli ultimi trent'anni sono sorte tre associazioni di assistenza al suicidio che, dietro compenso, offrono un aiuto concreto a chi desidera porre fine ai propri giorni:
EXIT per la Svizzera tedesca e il canton Ticino, fondata nel 1982, con sede a Zurigo.
EXIT Suisse Romande, sempre del 1982, di Ginevra.
DIGNITAS, fondata nel 1998, attualmente a Forch (Zurigo), che accetta richieste anche dall'estero.
Soprattutto quest'ultima ha avuto e ha vita difficile, sia per i locali utilizzati - non graditi a condomini e vicini di casa - sia per il costo del servizio, giudicato esoso (10.000 franchi, circa 7.000 euro). Le ripetute doglianze e le vertenze che hanno costellato l'attività di Dignitas hanno indotto il Consiglio federale (governo) a regolamentare la materia. Nell'ottobre 2009 l'esecutivo ha avviato una procedura di consultazione su due proposte di legge: la prima prevede il divieto tout court di aiutare chi desidera morire; la seconda chiede di ancorare nel codice penale dei chiari obblighi di diligenza per le organizzazioni di accompagnamento al suicidio, che sarebbe da concedere soltanto ai malati incurabili.
Se questa è la situazione, il mese d'aprile consegna alle cronache tre fatti che dimostrano quanto l'argomento si presti a contraddizioni.
- Il 6 aprile Exit ha comunicato che a fine 2009 contava 2.000 nuovi associati, per un totale di 53.000 membri residenti nella Svizzera tedesca e in Ticino, cui s'aggiungono i 17.000 della consorella della Svizzera francese. "Una crescita straordinaria", ha sottolineato, interpretabile come una reazione "all'attacco del governo contro il diritto all'autodeterminazione". In effetti, le risposte di partiti e organizzazioni alle proposte dell'esecutivo arrivate il primo marzo 2010 sono state per lo più negative, e a favore dello status quo.
Nel 2009 l'organizzazione principale ha accompagnato a morire 217 persone in grave sofferenza; nel 2008 furono 167 e l'anno prima 179. Sempre l'anno scorso, 377 soci hanno chiesto chiarimenti. Secondo Bernhard Sutter, del comitato direttivo, l'esperienza insegna che "un po' più della metà" di chi s'informa sceglie poi di passare all'azione concreta. Le persone assistite avevano in media 76 anni (74 nel 2008), in gran parte malati di cancro. Da oltre vent'anni Exit si batte anche per le cure palliative attraverso la sua fondazione Palliacura.
- In sordina il Gran Consiglio di Basilea ha "graziato" l'accompagnatore al suicidio Peter Baumann. La vicenda suscitò scalpore tre anni fa, quando lo psichiatra oggi 75enne, venne condannato a tre anni di carcere (due con sospensione condizionata della pena) per aver aiutato alcuni pazienti a suicidarsi. Secondo la sentenza, nel 2001 Baumann aveva aiutato a uccidersi un pensionato di 46 anni malato psichico, su richiesta di quest'ultimo. Un altro caso riguardava una sessantenne affetta da disturbi mentali, il terzo un ottantacinquenne trovato morto in un albergo di Lucerna (Baumann ha sempre rivendicato la propria estraneità in quest'episodio). Un anno dopo il tribunale d'appello riformò la sentenza - dimostrata l'infondatezza di uno dei capi d'accusa, la condanna fu portata a 4 anni per omicidio premeditato in uno dei casi esaminati.
Come riportato giorni fa da Basler Zeitung, a febbraio il Gran Consiglio di Basilea ha graziato Peter Baumann con 67 voti contro 6, dopo brevissimo dibattito, in cui è stato omesso il nome del protagonista e i fatti sono stati illustrati appena per sommi capi, e ciò spiegherebbe perché la decisione sia venuta alla luce solo ora. Due i motivi della "grazia", ha precisato Doris Gysin, presidente della commissione competente: da un lato, l'aiuto passivo al suicidio a malati psichici è stato nel frattempo riconosciuto ammissibile dal tribunale federale; dall'altro, la corte d'appello aveva parzialmente scagionato Baumann in quanto l'azione era avvenuta in un ambito giuridico di transizione, anche se i giudici hanno dovuto comminare una sanzione severa.
In conclusione, per evitare di dare segnali politici, il Gran Consiglio ha annullato la pena, ma non il giudizio di colpevolezza.
- Lo straniero che voglia suicidarsi a Zurigo paghi pegno.
Bruno Walliser dell'Unione Democratica di Centro (UDC) è riuscito a far approvare dal parlamento zurighese una mozione che chiede al governo cantonale d'introdurre una tassa per gli stranieri che si rechino a Zurigo per farsi aiutare a suicidarsi. Apparentemente la proposta serve a scoraggiare il "turismo della morte", come viene chiamato comunemente. Dai dati ufficiali si tratta di un fenomeno in crescita giacché i suicidi assistiti di stranieri sono passati da 91 (su un totale di 272) del 2003 a 132 (su circa 400) del 2007. In realtà, scopo della mozione è ribadire la volontà di una parte dello schieramento politico di vietare l'assistenza al suicidio. La stessa volontà che è riuscita a far passare, a gennaio, un'iniziativa popolare dell'Unione Democratica Federale (UDF, piccola formazione di destra) volta a proibire l'aiuto al suicidio a chi risiede nel canton Zurigo da meno di un anno.
"Misura inadeguata e inaccettabile", la definisce Alberto Bondolfi, professore di etica alla facoltà autonoma di Teologia protestante dell'Università di Ginevra. Egli spiega all'agenzia di stampa Swissinfo che se in un incidente stradale in cui sono coinvolti degli stranieri, i costi dell'accertamento dei fatti non vengono loro addebitati, è perché l'inchiesta va eseguita a prescindere dalla nazionalità di chi vi è implicato. "Quest'episodio mostra quanto si sia maldestri nel regolare la pratica del suicidio assistito". Che andrebbe sì regolamentata meglio, dice il professore, giacché le due righe dell'articolo 115 del codice penale non sono sufficienti, a suo parere. Ma tassare gli stranieri, o negare l'assistenza a chi non è residente da un anno, è un modo inaccettabile di procedere, sia dal punto di vista giuridico sia da quello etico.
Anche Bernhard Sutter di Exit manifesta la propria contrarietà. "Nel canton Zurigo, tutti i casi di suicidio sono esaminati dall'autorità, e i relativi costi sono a carico dello Stato perché le indagini vengono svolte nell'interesse della collettività". Il ragionamento si può ampliare ad altri aspetti: la mozione chiede che i costi dell'assistenza al suicidio di uno straniero spettino ai suoi eredi, ciò che non capita se uno si suicida da solo; e come la mettiamo con gli svizzeri esentasse? e che cosa rimane del principio di uguaglianza giuridica? senza contare la difficoltà pratica di ottenere soldi dagli eredi residenti all'estero, i quali avrebbero buon gioco nell'impugnare un simile provvedimento.
La pensano così anche socialisti, ecologisti e verdi-liberali che si sono opposti alla mozione, se pure senza successo visto che è passata con 93 voti contro 51, e anche contro il parere del governo cantonale.
Ludwig Minnelli, fondatore di Dignitas, rileva che il governo zurighese aveva già segnalato al parlamento cantonale come la mozione dell'UDC contravvenisse al diritto federale, e che se ora lo si costringe a varare una legge, è probabile che diverrà materia per il Tribunale federale. Ma l'autore della mozione, Walliser, osserva sarcastico: "Il governo cantonale ha già dato prova di creatività quando si è trattato d'introdurre nuove imposte".