Sono diversi gli studi che rilevano differenze nei trattamenti di fine vita a seconda dell'area geografica, metropolitana o non metropolitana. Ma nessuna ricerca ha mai analizzato queste differenze in termini di decisioni di fine vita, ovvero le decisioni dei medici circa i trattamenti di fine vita che possono potenzialmente influire sul tempo che rimane al paziente di vivere. E' questo che si propone di fare uno studio della Vrije Universiteit di Bruxelles, pubblicato sulla rivista scientifica Health and Place.
Secondo i ricercatori, nell'area metropolitana di Bruxelles le decisioni sul fine vita che hanno possibilmente accorciato la vita dei pazienti hanno riguardato il 38,5% di tutti i decessi. Molto più alta invece la percentuale nelle aree non metropolitane, dove decisioni del genere hanno riguardato il 47,8%. Per quanto riguarda invece i trattamenti mirati primariamente a curare o prolungare la vita, sono stati somministrati nel 43% dei casi dell'area metropolitana, e nel 39% nel resto delle Fiandre. Ma se fuori dalla città di Bruxelles i casi di eutanasia volontaria costituiscono il 3,2% di tutti i decessi, questa percentuale sale al 5,4% nell'area metropolitana. Quasi tripla la percentuale dei casi di eutanasia attiva senza l'esplicito consenso del paziente nella città di Bruxelles rispetto alle aree non metropolitane (rispettivamente 4,3% e 1,5%).
Maggiore è la percentuale di ultraottantenni che ricorrono all'eutanasia attiva nell'area metropolitana, mentre nelle aree non metropolitane si chiede molto di più di morire nella propria casa.
I ricercatori concludono che nell'area metropolitana sono più numerosi i casi di eutanasia attiva, molti dei quali senza l'esplicita richiesta del paziente. Le decisioni mediche improntate al sollievo della sofferenza e dei sintomi sono meno frequenti nell'area metropolitana.
Sono diverse le caratteristiche della popolazione metropolitana, scrivono i ricercatori, che potrebbero influire su queste decisioni: il maggior numero di persone che vivono da sole, maggiore presenza di stranieri, maggior numero di persone anziane con un alto livello di istruzione e giovani con un più basso grado di istruzione, e condizioni abitative meno favorevoli. Potrebbero influire anche i trend globali e nazionali come il maggior grado di ospedalizzazione del fine vita nelle aree metropolitane.
Gli studiosi ipotizzano che queste differenze riflettono le cosiddette "questioni metropolitane" (problemi di urbanizzazione), e che quindi potrebbero riscontrarsi anche in altre aree metropolitane nel mondo. Se fosse così, scrivono, potrebbe essere opportuno sviluppare approcci diversi nelle aree metropolitane, sia per quanto riguarda le politiche sanitarie pubbliche di fine vita, sia per quanto riguarda il rapporto individuale fra cittadino e medico.
Fonte: Aduc Salute