Con un approccio laico, rievocando i riti funebri dei nostri avi e di altre culture, l'autrice, filosofa tanatologa, ci conduce per mano attraverso tutto il testo fino alla dichiarazione delle sue volontà. Sembra essere questo alla fine l'obiettivo del suo libro.
Partendo dalla narrazione del suo interesse e studio sulla morte nella realtà odierna, accentuata dopo l'esperienza tumorale, Marina Sozzi percorre, indaga il mondo intorno alla morte: dalla riduzione fino alla scomparsa e perdita dei riti funebri e quindi del commiato della persona morta, all'attuale considerazione, tabù della morte, alle cure palliative per una morte dolce e amica; allo stato attuale in Italia delle cure palliative e della lotta al dolore inutile (legge 38/2010). Il dibattito sull'eutanasia, sui luoghi comuni e le manipolate definizioni, a confronto con le leggi di altri stati europei. Il lutto e il suo inserimento nel DSM – 5 come patologia da curare con medicine, togliendo la naturale importanza e individualizzazione del tempo necessario per ogni dolente, accettando, accogliendo manifestazioni più o meno aperte del lutto: pianto, silenzio,ritiro, parole, ricordi. Anche qui, lo scritto si arricchisce di note storiche sui riti del lutto riconosciuti nelle comunità di appartenenza che in qualche modo accompagnano, regolano, restituiscono naturalità e partecipazione al periodo luttuoso. Un paragrafo particolare quello sul lutto concernente la perdita di un bambino o giovane, di come il dolore per tale perdita sia avanzato dalla fine del '700 ad oggi in maniera progressiva. Perchè nei secoli precedenti la mortalità infantile era elevatissima mettendo continuamente a rischio la vita del bambino, con un diverso attaccamento da parte dei genitori e diversa considerazione pe la morte infantile.
Scrive Sozzi: “E' dunque relativamente recente l'idea che la perdita di un figlio sia quella che infligge il maggiore dolore” (pag. 175). Come per David Grossman, si evidenzia che anche nel linguaggio ancora non è stato trovato un termine per indicare il genitore che ha perso un figlio, come non lo si prevede per la perdita di un fratello o di una sorella. Esistono forse lutti meno dolenti, meno nominabili, negati o legittimi? Esiste una graduatoria del dolore arrecato dal lutto? Forse la risposta sta esclusivamente nella relazione avuta in vita con la persona deceduta, indipendentemente dalla parentela o legame di sangue. Attraverso l'esperienza dell'elaborazione del lutto nei bambini, l'autrice ribadisce l'importanza dell'educazione alla morte fin dall'infanzia e di lasciar andare, secondo la legge della natura dell'eterno rinnovamento e cambiamento. Il libro si chiude con due capitoli, uno dedicato ai luoghi in cui collocare la memoria dei morti, attraverso la storia in occidente dei luoghi deputati alla morte, i camposanti e successivamente i cimiteri, al loro mutare di sede (dentro o fuori la comunità, visibili o nascosti) e architettura, fino talvolta ad una totale omologazione e spersonalizzazione della signola tomba laddove file di loculi uguali uno sopra l'altro vengono erette per sfruttare al meglio lo spazio.
Infine il capitolo sulla vecchiaia e anche qui il confronto con il passato e con culture altre dove l'anziano era fonte di saggezza per la sua esperienza di vita, quando il suo fine vita avveniva all'interno del nucleo familiare o della comunità, al quale tutti più o meno partecipavano. L'evoluzione sociale ha modificato anche il significato attribuito alla vecchiaia, insieme all'evoluzione medico-scientifica che ha portato ad un allungamento della vita e delle malattie legate all'invecchiamento, accrescendo le disabilità e la necessità di un aiuto e sostegno assistenziale. La soluzione che per ora va per la maggiore è l'istituzionalizzazione nelle RSA che se aiutano da una parte forse la famiglia, dall'altra depauperano l'anziano soprattutto della vicinanza e condivisione degli affetti e del proprio ambito di vita, incrementando e accelerando il decadimento cognitivo. Però all'anziano sembra essere negata l'autonomia nella scelta del suo fine vita si pensi ai suicidi recenti di eccellenti personaggi): talvolta si applicano manovre rianimatorie quando si è ben consapevoli della loro inuitilità e di un loro esito solo in un prolungamento della vita in condizioni di scarsa o assente qualità di vita; raramente se non si tiene mai conto della volontà dell'anziano di porre fine alla sua vita senza accanirsi in un suo prolungamento indesiderato. Le cure palliative dopo la legge 38/2010 si stanno aprendo anche a loro, oltre che a coloro affetti da patologie diverse dal cancro, cercando di rendere il più dignitoso possibile e rispettoso della vita trascorsa, l'ultimo tratto della persona anziana.
La morte di qualsiasi persona ma soprattutto di una persona anziana alla quale siamo stati particolarmente legati, deve sorprenderci e farci riflettere perchè nella elaborazione del suo lutto dobbiamo trovare la strada e la forza per percorrerla alla ricerca della sua eredità spirituale che ci ha lasciato per farla nostra.
Così conclude Marina Sozzi: “Vorrei morire continuando a essere importante per qualcuno dopo la mia morte, per ciò che ho saputo insegnargli” (pag. 253).
Si rimane vivi finché qualcuno si ricorda di noi morti, ha scritto qualcuno. E la memoria è necessaria per l'evoluzione della storia di ognuno.