Mentre cresce la specializzazione nei diversi campi della medicina e si fa sempre più scientifico l’operare dei medici, grazie a protocolli, procedure e linee guida fondate sull’Evidence Based Medicine (EBM), si assiste ad una maggiore richiesta degli operatori sanitari di formazione sui temi dell’assistenza alla fine vita e della morte.
Il volume di M. Grazia Soldati risponde a queste esigenze, inserendosi in quel filone di pubblicazioni che si riferiscono al movimento delle medical humanities, che danno voce alle istanze di riequilibrio della pratica medica.
Soprattutto quando ci si prende cura delle persone giunte alla fine della vita, si evidenzia, infatti, la necessità di trovare tempi e modalità adeguate a dare spazio al dialogo e all’ascolto, utilizzando i saperi “che raccontano” in modo complementare a quelli “che contano” (secondo i termini usati da De Mauro e Bernardini nel dibattito tra le culture delle scienze umane e delle scienze esatte).
“Dare il posto centrale al paziente nel rapporto di cura vuole anche dire offrire la facoltà al malato di fare propria la vita che sfugge, inserendola in una trama narrata. Dovremmo auspicare che questo modo di fare medicina non resti confinato nel periodo finale della vita ma che contagi positivamente ogni altro momento del processo di cura, fino a creare la convenzione che non c’è buona medicina senza le voci dei pazienti, senza le loro storie, senza quel fare che è il racconto”.
(Dalla prefazione di S. Spinsanti)
Sulla base di esperienze professionali e di corsi di formazione per operatori sanitari impegnati a seguire malati giunti al termine della vita, nel libro si intrecciano ricerche teoriche e culturali con situazioni concrete, presentate attraverso storie di vita. Chiunque abbia già utilizzato questa pratica operativa ha potuto evidenziare quanto il lavoro con le storie di vita trasformi non solo le singole persone coinvolte, quanto le relazioni tra i diversi soggetti implicati nel processo di cura e le stesse istituzioni in cui questo metodo viene applicato, favorendo un clima più adeguato ad accogliere la sacralità che ogni morte evidenzia.
Come sottolinea nella postfazione D. Demetrio (iniziatore nel nostro paese del “raccontarsi” e dei corsi sulle autobiografie) questo libro è una meditazione sulla vita, non sulla morte; “ci insegna a guardare alla morte come un’occasione per penetrare ancor più nella vita, per non farla mai tacere”.