Quando abbiamo pensato di organizzare un convegno, avevamo chiaro che l’obiettivo era prendere tempo e spazio per riflettere, come soci e persone conosciute durante i primi 3 anni di attività della Associazione Spazio Etico, sul percorso fatto e su quello da fare. Abbiamo scelto la sede della Misericordia di Empoli che ci ha offerto ospitalità durante tutto il 2016 per svolgere i nostri incontri bimensili e denota una sensibilità verso chi si occupa di cura e curanti.
E’ stato un convegno importante per le presenze e la qualità degli interventi rispetto ai quali avevamo diviso il susseguirsi delle relazioni in base alle fasi attraversate fin qui dal percorso associativo: dagli esordi, all’esperienza attuativa, a ciò che abbiamo fatto camminando insieme e infine uno sguardo gettato sul futuro.
Rivedendo l’insieme delle relazioni il filo rosso che lega tanti autori e temi diversi è quello di tornare a curare e prendersi cura delle relazioni concedendo un tempo per sostare vicino alla sofferenza, al dolore dell’altro ma anche alle innumerevoli gratificazioni che stare insieme agli altri, in particolare anche al gruppo dei colleghi, riesce a dare per colorare di senso gli spazi abitati da tanti operatori, dalle persone che si affidano alle loro cure e a quelle dei familiari.
Accanto a questa tematica emerge, in modo prepotente, la voce di chi si dedica al lavoro di cura e ha bisogno di coniugare la professionalità con le emozioni che lo attraversano in modo più consapevole.
La prima sessione è stata dedicata a parlare del significato di “Spazio Etico” e abbiamo avuto a tale proposito importanti contributi: dopo l’introduzione di Gianluca Favero che ha ribadito la necessità di dare spazio ai vissuti degli operatori della cura per pensare a un tempo disteso all’interno del quale guardare e narrare il lavoro, i contributi che si sono alternati sono stati quelli di Mariella Orsi, Stefano Bugnoli e Paolo Girolami.
Mariella Orsi è impegnata da tempo nel promuovere documenti che aiutino anche nel nostro paese a sancire il diritto di ogni cittadino ad esprimere volontà anticipate per il proprio fine vita . Il supporto che ha fornito attraverso i documenti del Gruppo di Pontignano sono esempi importanti di ciò che può essere fatto quando si parla dell’etica del prendersi cura nel fine vita.
Stefano Bugnoli ha posto l’accento sulla storia che ha caratterizzato i servizi sanitari degli ultimi anni che nell’ottica dell’aziendalizzazione hanno finito per lasciare poco spazio alla espressione delle competenze professionali raggiunte dai singoli professionisti, esaltando solo la logica del risparmio, delle misure dell’efficienza e dei premi di produzione. Il suo invito ai partecipanti a partire da se stesso, è stato quello di dedicare maggiore tempo alle relazioni, a guardarsi, al gruppo, alla riflessione sul cambiamento possibile e quindi in sintesi avere uno Spazio Etico all’interno del quale confrontarsi, ognuno nella propria realtà.
Paolo Girolami, medico legale, docente di Bioetica e dottorando di ricerca presso l’Università di Chieti da tempo, collabora con il prof. Emmanuel Hirsch (fondatore e direttore dell’Espace ethique francese), ha fortemente incoraggiato la nostra esperienza, per ora solo toscana, al fine di diffondere la metodologia che altrove ha trovato grosso successo. Ha ricordato inoltre il significato di etica come consapevolezza di una mancanza e ricerca di un rimedio. L’etica sta nel non detto delle leggi, dei regolamenti, dei protocolli per cui è soprattutto ricerca e interrogazione, ecco perché è così vicina alla medicina intesa come cura, rimedio efficace alla malattia e alla sofferenza.
La seconda sessione ha visto protagonisti molti operatori che a titolo diverso cercano di declinare la propria attività al miglioramento continuo dei servizi di cui fanno parte.
Mariangela Castagnoli ci ha parlato a tale proposito dei sistemi utili a misurare la qualità delle cure al di là di standard e indicatori, ma soprattutto come atteggiamento generale del prendersi cura, un atteggiamento mentale che è un percorso non una destinazione. In tal modo si ridefinisce il prendersi cura come continuità nella risposta ai bisogni di salute, ascolto e cura del patrimonio di rapporti e relazioni oltre ad un agire orientato alla qualità delle cure.
Massimiliano Luciani ha parlato del suo lavoro in RSA dal punto di vista del marchio “Qualità & Benessere” che è un modello di autovalutazione della qualità erogata in un servizio per persone anziane. E’ un approccio innovativo perché pone al centro il punto di vista dell’utente, della comunità, e il confronto. Inoltre i fattori messi sotto osservazione corrispondono ai valori cui si ispira il lavoro in questa residenza come ad esempio la vivibilità, l’umanizzazione, la libertà, la socialità ecc. La metodologia di misurazione dei risultati raggiunti, pur essendo molto precisa e puntuale non dimentica che la qualità della vita e del benessere degli anziani siano gli elementi guida nelle prese di decisioni organizzative. Suggerisce che tale percorso potrebbe essere affiancato dall’attivazione dello Spazio Etico all’interno delle varie RSA, utile a utenti e operatori come ulteriore fattore di accreditamento.
Abbiamo avuto come relatore anche Giancarlo Brunetti che è tornato di nuovo sul tema dell’aziendalizzazione e soprattutto sul declino che si sta registrando rispetto alle relazioni umane, alla frammentazione della comunicazione, fino alla pervasività delle tecnologie. Per cercare di superare questi ostacoli anche lui come altri che lo hanno preceduto, ricorda l’importanza di dare spazio alle relazioni, liberare la mente pur rimanendo connessi con la realtà e vivere il presente come vero tempo su cui investire e da non sprecare.
La terza sessione ha visto importanti interventi illustrativi di metodologie formative utili a liberare i vissuti degli operatori dalla fatica quotidiana e che l’Associazione utilizza nei percorsi seminariali che propone.
Grazia Chiarini e Maria Pia Urbani hanno parlato dei Gruppi Balint molto utilizzati con i medici di medicina generale perché in base al fondatore “è il medico il farmaco più usato dai pazienti e la relazione tra i due fa parte del processo diagnostico e terapeutico”. Di nuovo si sottolinea l’importanza di dare spazio alle emozioni dei pazienti e alla riflessione anche sul proprio vissuto per praticare un vero ascolto che migliora la prognosi delle malattie.
Accanto a questo si possono utilizzare sia il sociodramma che la scrittura creativa o autobiografica. Del primo ci ha parlato Mara Fadanelli che utilizza da molti anni lo strumento del sociodramma per porre attenzione a episodi critici o non critici che accadono nella vita professionale per compiere una rielaborazione non giudicante dell’esperienza e oggettivare quanto accaduto.
Carla Benedetti ci ha offerto un’analisi della scrittura come supporto utile a tutti sia pazienti che operatori e familiari per lasciare traccia e memoria, sottolineando che “ricordare” dal latino recordis significa passare dalle parti del cuore e cercare di alleggerirlo rispetto al peso che il lavoro o la malattia gli impongono. Nella sua esperienza di laboratori di scrittura proposti anche all’interno dei seminari attivati dall’Associazione nel 2016, ha constatato che la scrittura di sé e della propria vita emotiva porta benessere ed è forte strumento di riflessione e confronto.
Alessandra Trinci ha trattato la formazione delle competenze infermieristiche da un particolare
punto di vista sottolineando che apprendere dall’esperienza negli ambienti ad alto rischio richiede lo sviluppo di capacità di azione morale e senso di responsabilità. A tal fine indica nel Mentoring la metodologia utile a unire l’esperienza cumulata negli anni dall’infermiere “mentor” al sostegno a chi, essendo più giovane, può essere accompagnato in particolari momenti della sua esperienza professionale. Il “mentoring” è un metodo didattico che sviluppa la “salienza” rispetto a situazioni cliniche già sperimentate e che quindi non richiedono la presa di decisione su tutte le priorità, perché alcune di esse risultano già prevedibili in base alla somiglianza con i casi affrontati in precedenza.
Ha concluso la sessione Patrizia Galantini che ha narrato la propria esperienza di fisioterapista e di coordinatrice del Coso di Laurea in Fisioterapia all’interno del quale ha maturato un forte senso di responsabilità verso i neolaureati per farli inserire al meglio nel futuro lavoro. Nell’ambito della formazione universitaria, infatti, ha utilizzato metodologie attive capaci non solo di coinvolgere gli studenti sui vari temi abituandoli alla autovalutazione dei risultati raggiunti e ad esaminare il loro “saper fare” insieme al tutor del corso di laurea in modo da arrivare all’applicazione pratica di quanto appreso con meno incertezze.
Durante il convegno c’è stata la presentazione di vari poster dedicati sia a tecniche di comunicazione con persone anziane e problemi cognitivi (vedi Time slip, biodanza o elementi di comunicazione in situazioni difficili) oltre ad una esperienza di un ambulatorio in Africa e uno dedicato al marchio Qualità e benessere, è doveroso segnalare un poster prodotto da giovani ostetriche che hanno illustrato l’esperienza proposta nelle scuole in merito all’educazione sessuale delle adolescenti.
A chiusura del Convegno Laura Bencini, Luciana Coèn e Claudio Coppini hanno “dato voce” ad un testo estremamente toccante, scritto appositamente da Luciana, per “raccogliere in una trama” i fili delle varie esperienze raccontando con la magia della poesia quanto sia necessario avere e offrire spazio al lavoro di cura per dare voce non solo ai curati ma anche ai curanti affinché, questi ultimi, possano, come si legge nella poesia “Spazio” di Alda Merini, per “…crescere, errare e saltare il fosso”.
Elisa Marmugi ci ha regalato bellezza con le foto affisse alle pareti della sala, portando uno sguardo acuto sulle emozioni che i volti degli anziani di una RSA rimandano e ci indicano insieme ai solchi dell’età sulle facce e sulle loro mani che un’alleanza tra generazioni è ancora possibile e che il valore delle persone, anche quelle ormai incapaci di parlare, è racchiuso spesso nei loro occhi e nella storia che vi si intravede e che fa parte della biografia di una comunità.
Marta Bernardeschi