Nel cuore di Firenze, con Firenze nel cuore

Vogliamo riportare e segnalare la testimonianza di Cristina Tozzi, Infermiera di Medicina di iniziativa - Assistenza Infermieristica territoriale dell'ASL 10 Firenze, che attraverso le sue parole ci mostra il suo lavoro e allo stesso tempo ci commuove per gli stralci di vita e le storie che ci racconta in breve.

Il mio lavoro mi ha portato per dodici anni in giro per il centro della mia città. Ho girato il cuore di Firenze con sole, pioggia, neve, con tanto caldo e tanto freddo, a piedi o in bici, con gli ”attrezzi del mestiere” dentro una borsa, “ambulatorio” privato degli Infermieri domiciliari. Firenze mi ha regalato Piazza Santa Croce la mattina presto, vuota, con il sole che da dietro si affaccia piano, piano; mi ha fatto abbracciare da Palazzo Vecchio, che mai ti stanchi, passando da Piazza Signoria, di alzare gli occhi per guardarlo. Il mio lavoro mi ha portato in tante case, mi ha fatto incontrare migliaia di persone, mi ha mostrato l’impensabile, luoghi e situazioni che da sola forse non avrei mai immaginato.

La Rina
Mi sono arrampicata per diversi anni per le scale strette e ripide, che mi lasciavano ogni volta senza fiato, in uno degli angoli più belli di Firenze, il quartiere di San Niccolò, in casa della Rina. Lei mi aspettava, con l’occorrente per le medicazioni preparato con cura, contenta di vedermi, nonostante che sentisse molto male quando curavo le grandi ulcere che le coprivano le gambe, probabile regalo, insieme a tanti dolori alle articolazioni, degli anni passati fin da bambina fuori al lavatoio a fare il bucato per gli altri. Alla Rina piaceva tanto parlarmi del suo San Niccolò che oramai non poteva guardare neanche più dalla finestra non riuscendo ad alzarsi dalla carrozzina. Con orgoglio mi raccontava di quando, durante l’alluvione del 1966, ospitò tutti gli inquilini della palazzina dove abitava in casa sua, dove l’acqua non era arrivata e con altrettanto orgoglio mi diceva che quello era il posto migliore per vedere i “fochi” di San Giovanni che “…pare mi entrino in casa!!” Tante volte, con lo sguardo perso lontano ed un dolore che forse ogni volta si rinnovava, la Rina mi raccontava della guerra e dei tedeschi, di “Quanto male quelli schifosi ci hanno fatto.” La abbiamo assistita, con le mie colleghe, fino a fine vita e quando ci avvicinavamo a lei che era oramai in un mondo tutto suo, del quale non faceva parte più neanche il figlio, per cambiarle il catetere vescicale, diventava una furia e con la voce piena di angoscia gridava “Vattene schifoso, non mi toccare!”………

La Silva
La Silva, egregia rappresentante della categoria del “mestiere più antico del mondo”, abitava in Borgo Allegri.
La mattina, appena si imboccava la strada, la si sentiva urlare e rivolgersi con coloriti appellativi agli operatori domiciliari che si occupavano di lei. Ci voleva molto coraggio e tanto stomaco ad entrare in casa sua, i piedi rimanevano appiccicati al pavimento e l'odore che vi aleggiava non era dei migliori. Viveva con il suo compagno Pippo, che la mattina usciva prestissimo e rincasava la sera, per andare a curare il suo orto. Il soggiorno era attraversato da un filo di ferro al quale erano appesi i frutti del lavoro di Pippo: pomodori, agli, cipolle ed in cucina... il barile del compostaggio!! Era diabetica la Silva, non vedeva e non camminava più. Quando entravamo in casa la mattina, per controllarle la glicemia e somministrarle l'insulina, regalava anche a noi i suoi coloriti appellativi fino a che non ci riconosceva e tranquillizzandosi era poi contenta perché di li a poco avrebbe poi potuto godersi i cornetti con la panna che tutte le mattine il suo Pippo le andava a comprare...

La signora di Via Metastasio
Contattarono il nostro Servizio i familiari di una vecchia signora, affetta da decadimento cognitivo, allettata, che aveva bisogno di noi perché le curassimo delle ulcere. Via Metastasio si arrampica sopra Porta Romana verso la campagna, ci sono tante belle case lì, quella che cercavo io mi apparve dietro un grande cancello: in un giardino pieno di ulivi, la villa padronale con intorno le abitazioni che in passato erano state dei contadini che vi lavoravano. Sia la casa che i vari titoli anteposti al cognome sul campanello facevano sicuramente pensare ad una famiglia importante. L’ingresso si affacciava su un terrazzo di pietra, una pergola incorniciava la più bella cartolina di Firenze che avessi mai visto. Un’elegante signora mi accolse sulla porta: “Buongiorno, l’aspettavo”, mi disse, “L’accompagno da mia madre”. Mi condusse in fondo al giardino, in quello che probabilmente era stato il rimessaggio, dove la vecchia signora adesso viveva assistita dalla sua badante. “Sa, in casa non c’era posto!” mi disse l’elegante figlia. Ho sperato con tutto il cuore che negli occhi e nella mente della vecchia signora ci fossero rimasti solo il bellissimo giardino all’italiana che dal suo “rimessaggio” poteva forse ancora vedere e la cartolina di Firenze che il suo terrazzo, per tanti anni, ogni giorno le aveva regalato.

Giorgio
Nascosta dietro l’eleganza di Piazza Pitti, insieme a tante altre strette stradine c’è Via dei Velluti dove, in un piccolissimo appartamento, poco più di una stanza, ci abitava Giorgio. Era un uomo burbero e sgarbato, aveva condotto una vita sempre oltre i limiti, incurante del suo diabete, sicuro di esserne più forte, che gli aveva però poi presentato il conto, distruggendogli il cuore e portandogli via a poco a poco una gamba. Andavamo a medicare le sue ferite, aveva molto dolore, ma non si arrendeva, anche senza una gamba e con l’altra che se ne stava andando, scendeva le scale seduto, scivolando sugli scalini ed elegante e sprezzante se ne andava in giro per il centro di Firenze sulla sua carrozzina. Una mattina non rispose alla telefonata degli operatori della tele-assistenza che ogni giorno lo chiamavano, il suo cuore non ce l’aveva fatta più. Non andavo volentieri da lui, era faticoso stabilirci una relazione, ma per diverso tempo, dopo che non ebbe più bisogno di noi mi sembrava di vedermelo ogni tanto comparire davanti per le strade dell’Oltrarno.

Nicoletta
Quando Nicoletta ci ha lasciato aveva un anno e mezzo, la sera prima, tenendola in braccio, sentivo bene che era calda di febbre. La sua mamma era bravissima e noi Infermiere eravamo solo una presenza giornaliera in suo supporto, ma i bisogni di Nicoletta solo lei li intuiva e li riconosceva. La sindrome che l’aveva colpita le aveva tolto un pezzo di tutto, ma le aveva lasciato uno splendido e dolcissimo sorriso che anche quell’ultima sera mi volle regalare. Credo che non la dimenticherò mai.

Frammenti……

Cappottini
I cappottini appesi agli attaccapanni della Scuola di Via Maffia, colorati ed arruffati come le faccine dei suoi bambini. I cappottini appesi agli attaccapanni della Scuola di via San Gallo, impeccabili e rigorosamente griffati come tutto quello che apparteneva ai suoi bambini. Incurante delle differenze sociali, imparziale, il diabete ci chiamava ogni giorno in entrambe le scuole, ma i bambini hanno sempre una marcia in più ed anche il bucarsi un ditino diventava un gioco e l’essere chiamati dall’Infermiera per la “punturina”un motivo di vanto davanti ai compagni che curiosi ogni giorno ci salutavano ed in coro rumorosamente annunciavano il nostro arrivo.

Zac
Zac, un bellissimo pastore alsaziano ogni volta mi lasciava stupita, miracolosamente si muoveva intorno al letto di Marco senza neanche sfiorare i preziosi tubi collegati al respiratore che gli permetteva di essere in vita.
Solo Zac faceva illuminare il viso del suo padrone ed ogni volta che noi Infermiere avevamo finito il nostro lavoro intorno a lui, sfregandosi leggermente alla mano di Marco sembrava volergli dire: “Tranquillo, anche oggi hanno fatto tutto bene!

Con l’onore di esserne cittadina, ringrazio Firenze per quello che in questi anni, attraverso il mio lavoro, mi ha offerto.

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