Gli incipit ricorrenti nei capitoli sono il preludio in un crescendo per giungere al capitolo finale “Perdita di profondità” dove l'autore scandaglia il lutto per la morte della moglie, mancata in poco meno di un mese e mezzo per cancro.
“Metti insieme due cose che insieme non sono mai state. E il mondo cambia (pag. 5)
Metti insieme due cose che insieme non sono mai state; a volte funziona e a volte no ...metti insieme due persone che insieme non sono mai state; a volte il mondo cambia e a volte no ...a volte, invece, ne nasce qualcosa di nuovo, e allora il mondo cambia (pag.33)
Ogni storia d'amore è potenzialmente anche storia di sofferenza. Se non subito, in un secondo tempo. Se non per l'uno, per l'altro. Per tutti e due, qualche volta (pag.39)
Metti insieme due persone che insieme non sono mai state...a volte invece funziona, nasce qualcosa di nuovo, e il mondo cambia. Solo che, a un certo punto, prima o poi, per una ragione o per l'altra, una delle due persone viene meno. E ciò che viene meno è più della somma di ciò che c'era.(pag. 69)”
Complesso recensire il libro di Barnes per l'intensità e al tempo stesso, semplicità delle parole usate. Perchè sono sentimenti che ognuno più o meno prova quando una persona affettivamente vicina ha una diagnosi infausta con brevissimo fine vita. Il mondo intorno sembra insignificante e bersaglio della rabbia perchè non sa e non partecipa alla sofferenza, continua il suo affaccendarsi, “è solo l'universo che fa il suo mestiere” (pag. 76). quando poi la morte avviene, parte il periodo successivo in cui il dolente sopravvissuto fa i conti con l'altro mancante, imbevuto di SEHNSUCHT, termine tedesco difficilmente traducibile, che può significare il senso di struggimento, di “nostalgia profonda di qualcosa” (pag. 113), attraversando torrenti già guadati da coloro che hanno avuto un lutto. L'analisi lucida di Barnes, ateo, quindi senza alcun supporto e riferimento religioso, racchiude gli step spesso descritti dal dolente e dalla letteratura: la rabbia per l'abbandono e l'essere sopravvissuto fino a ipotizzare il suicidio come lenimento del dolore, della mancanza, della rabbia (ma suicidarsi vorrebbe dire far dimenticare la persona morta agli altri); la necessità di continuare a mantenere il dialogo con la moglie fino a diventare consapevole che oltre alla compagna ha perso la sua “co-dolente” (pag.104) - nell'intervista del 4/10/2013 (La Repubblica, a cura di Sebastiano Triulzi) lo scrittore afferma, sulla scia del protagonista di Sostiene Pereira, che “dire che qualcuno è morto non vuol dire che non esiste: continuo quell'esistenza e la continuo sotto forma di dialogo” -; la difficoltà a parlare con amici e conoscenti della morte della moglie perchè un forte imbarazzo cala su tutti, insieme al silenzio, come se dolore, morte e sofferenza fossero contagiosi e non condivisibili; la distinzione fra lutto e dolore: il primo è un processo di cui si può conoscere l'inizio ma non la fine e non sempre i passaggi sono chiari, trasparenti; il secondo è uno stato, “uno spazio morale” o addirittura “il negativo dell'amore”.
L'elaborazione del lutto è un lavoro “sfuggente, sdrucciolevole, metamorfico”.
“Cosa significa farcela quando parliamo di lutto?” si chiede Barnes nelle ultime pagine del libro. È la capacità di ricordare (con la sensazione di rimanere ancorati al passati e di non procedere, ma verso dove?) o quella di dimenticare (e perdere i ricordi, la vita trascorsa insieme le cui memorie sono già scomparse a metà perchè manca l'altra parte che aiuti a ricomporre il ricordo, come tasselli di un puzzle)? Restare fermi o andare avanti? Sembra che a volte si voglia continuare ad amare il dolore, ma, ancora, cosa significa farcela con il dolore. Si è davvero raggiunto un traguardo (ma quale?) o si è solo in un nuovo stato di fatto? Forse il dolore si è solo spostato altrove, ha cambiato interesse. “Perchè è sempre, soltanto l'universo che fa il suo mestiere, nient'altro, ed è su noi che lo esercita” (pag. 118)