Agli ammalati ed ai morenti va dato quanto ci è possibile
Poiché loro sono noi e noi siamo loro
e ciò che gli doniamo è donato a noi stessi.
Tre illustri medici italiani raccontano la propria storia: gli studi, la carriera, i successi professionali. E poi l’arrivo di un patologia grave che li colpisce improvvisamente e sconvolge la loro vita. Per sempre. I dolori fisici, la paura di star male e di morire, la sofferenza legata anche al senso d’impotenza di fronte all’evolversi di una malattia che non è sotto il loro controllo. Ma anche la delusione per un sistema che, ad un tratto, li emargina e li esclude, come se “ ciò che sono” non avesse più alcun valore.
Questi tre grandi medici narrano il proprio calvario e ,grazie ad esso, capiscono cosa significhi stare “dall’altra parte”. Comprendono che essere paziente vuol dire, troppo spesso, non venire ascoltato, essere snobbato e,talvolta, persino umiliato.
Non essere più trattato come una persona dotata di una propria dignità, bensì ridotta ad un numero e quasi rappresentato solo dalla propria cartella clinica.
Facendo tesoro della propria professionalità, ma,soprattutto, dell’esperienza della malattia elaborano alcune proposte di riforma della Sanità italiana ed avanzano alcuni suggerimenti affinché la classe medica torni ad essere più umana e,quindi,capace di offrire,oltre alle competenze e scientifiche, un adeguato conforto ai malati che sono affidati alle loro cure. Sarebbe tutto molto più facile se i medici riuscissero a considerare la malattia come un problema che potrebbe riguardare anche loro.