Fin da prima di iniziare il mio percorso universitario sono stato appassionato al mondo delle Cure Palliative, e già dal primo anno avevo deciso di fare una tesi inerente all’argomento. Così grazie alla disponibilità della Prof.ssa Di Miceli Stefania e all’aiuto nella ricerca della correlatrice Della Nave Graziella ho deciso di svolgere la mia tesi.
Inizialmente ho parlato della differenza tra la medicina tradizionale che si occupa di curare le persone, ovvero identificare e rimuovere la causa della malattia consentendo di vivere il più a lungo possibile; quando però si trova davanti a una malattia incurabile essa viene considerata come un fallimento e la persona diventa colei per cui non si può più fare niente. La medicina palliativa invece rifiuta questo concetto e rappresenta tutto ciò che resta da fare quando non si può più fare niente ed è l’unica medicina attualmente in grado di prendersi cura del paziente e dei suoi famigliari con l’attenzione spostata dalla malattia alla persona vista come figura centrale e portatrice di bisogni più complessi di quelli strettamente sanitari. L’equipe delle cure palliative è di tipo multidisciplinare, garantisce assistenza supporto e educazione anche ai famigliari e li istruisce in modo che il paziente possa essere assistito a domicilio (luogo preferito per le cure in quanto vicino ai propri amati cari) nel miglior modo possibile.
Il capitolo successivo è riferito alle leggi principali che regolamentano le cure palliative ossia la legge 39 del 1999 e la legge 38 del 2010, mettendo in evidenza la loro importanza e innovazione all’interno del sistema sanitario nazionale ed europeo.
Il terzo capitolo invece verte sulla differenza tra ricovero domiciliare e l’hospice con riferimento alla storia delle cure palliative istituite da Cecily Saunders, la fondazione del primo hospice St. Christofer a Londra e la realtà in Italia con la fondazione Floriani.
Nel quarto capitolo sono andato a indagare la realtà del nord ovest fiorentino degli ultimi anni tra i caregiver che hanno deciso di ricoverare in hospice i loro cari durante una fase così delicata della loro vita.
Durante lo svolgimento della mia tesi ne è venuto fuori che il farsi carico del ruolo di caregiver per quanto riguarda i malati nella fase terminale, la maggior parte delle volte è svolto dai coniugi anziani, spesso con problemi di salute dovuti alla loro età e quindi troppo deboli sia sul piano fisico che psicologico ad affrontare la condizione del congiunto con un’assistenza continuativa; questo ruolo viene svolto quindi con estrema fatica e spesso si sentono impotenti davanti a tale situazione.
Gli anziani sono quindi spesso soli e si ritrovano in condizione di affrontare da soli le situazioni importanti e gravi, che risultano difficili e pesanti da gestire e senza alternativa di affidare il loro caro a un caregiver secondario avendo a disposizione una rete sociale e amicale molto povera.
I figli, vista l’impossibilità di poter garantire loro stessi assistenza ai genitori a causa di problemi quali l’incapacità di gestire contemporaneamente la propria famiglia e la non autosufficienza del genitore, oppure l’impossibilità di prendere permessi dal lavoro, decidono di ricoverare il proprio caro in una struttura che possa offrirgli continuità assistenziale e che si occupi in maniera totale dei pazienti, con un approccio di tipo olistico quale è la filosofia hospice, composta da personale professionale adeguatamente formato e che possa fornire assistenza ventiquattr’ore su ventiquattro in un ambiente il più possibile simile a quello domestico.
L’hospice ha potuto infatti affermarsi nella nostra società fornendo una risposta al cittadino quando l’assistenza a casa non è più possibile. Queste strutture costituiscono il contesto perfetto affinchè il paziente in fase terminale e i suoi famigliari possano affrontare con più tranquillità una fase così delicata della malattia vita. Oppure possano avere dei periodi di sollievo dall’assistenza domiciliare qualora si rischi di cadere nel burden, ossia il peso dell’assistenza diventa dannoso e con gravi conseguenze mentali e fisiche sia per colui che si prende cura sia per la qualità dell’assistenza stessa e quindi sul paziente.
All’interno degli hospice si può godere di un ambiente in cui la famiglia trova accoglienza e dove vengono ascoltate tutte le necessità della persona malata. I parenti possono alloggiare assieme al paziente nelle stanze di degenza, dormire accanto a loro grazie ai divani letto che si trovano dentro a ogni stanza di degenza, possono cucinare per loro grazie ai servizi tisaneria, e possono arredare la stanza con oggetti portati da casa per far sentire i pazienti in un ambiente più comfortevole, usufruendo allo stesso tempo dei servizi e dei presidi che si possono trovare in un ospedale. Possono soprattutto usufruire della possibilità di avere a portata di mano personale professionale da chiamare in caso di necessità (medici, infermieri, psicologi, fisoterapisti eccetera). Per non far sentire solo il paziente in caso di assenza di caregiver, è possibile avere a disposizione personale volontario a fare compagnia alla persona per non farla sentire abbandonata.
Per i caregiver non più in grado di occuparsi dei propri cari rappresenta quindi un’ancora di salvezza dove possono dedicarsi ai loro affetti senza sentirsi soli con un peso così grosso sulle loro spalle quale l’assistenza al proprio caro durante un momento così delicato della loro vita.