In questo piccolo pamphlet interessantissimo Adriano Sofri affronta il delicato e controverso tema dell’aborto, riutilizzando ed offrendo al pubblico riflessioni proprie e di altri autori ed autrici che risalgono a prima del ‘78, anno di approvazione della Legge 194. Fra gli articoli riproposti anche il noto intervento di Pier Paolo Pasolini, (spesso strumentalizzato e completamente travisato da Ferrara.)
Adriano (Sofri) è amico di Giuliano (Ferrara). Questo legame antico, intenso, e nutrito anche di gratitudine da parte di Sofri, oggi appare segnato da un crescente dissenso sulla crociata intrapresa da Ferrara a favore della “moratoria sull’aborto”.
Contro Giuliano è una lunga, civilissima lettera su donne e aborto, che non fa suoi gli accesi toni della polemica, ma descrive la parabola del movimento antiabortista di Ferrara, che all’indomani dell’approvazione da parte dell’ONU della moratoria sulla pena capitale, ha fatto suo il concetto di moratoria.
Sofri smonta radicalmente la costruzione edificata da Ferrara e la demolizione parte proprio da questo slogan. Non si può infatti paragonare l’aborto alla pena capitale. Innanzitutto le singole persone coinvolte, cioè le donne, non possono sospendere a tempo indeterminato gli aborti, a differenza degli Stati, che possono sospendere sine die le esecuzioni capitali.
Inoltre, una legge che vieti alla donna di abortire e persegua penalmente chi la aiuta, non farebbe altro che sancire un’espropriazione del suo corpo a favore dello Stato; il divieto di abortire sarebbe in ciò paragonabile al divieto del suicidio. Afferma Sofri: “Io provo a immaginare l'autodeterminazione di ogni donna, rispetto allo Stato o agli uomini o alle altre donne, come un’inviolabile questione di sovranità territoriale. Il corpo delle donne appartiene alle donne, e fino a quando la creatura che cresce dentro il corpo della madre non se ne sia staccata, non c'è diritto di ingerenza umanitaria che possa violare questa sovranità personale. L'ingerenza umanitaria sa che la sovranità di uno Stato o di qualunque corpo sociale non esaurisce in sé i suoi cittadini individui. Madre e nascituro sono invece due e tutt'uno: come non succede in nessun'altra circostanza. L'Habeas corpus, se non si riconosce questo, non è un vero diritto, ma un privilegio dei maschi per i maschi".
Il paragone con la Shoah, poi, non può che offendere e ferire, e sembra una provocazione fanatica e propagandistica. No, un embrione abortito non è certo la cosa più brutta al mondo e - se proprio si sceglie di comparare fra loro gli orrori – “la cosa più brutta è un bambino nato che muore di fame o di abbandono o di violenza, che si aggrappa al seno vuoto di sua madre”.
Ma ciò che Sofri rimprovera essenzialmente al suo interlocutore è d’aver usurpato una titolarità che non gli appartiene. Ferrara racconta le sue esperienze personali, annullando la distanza fra l'aborto immaginato degli uomini e quello vissuto delle donne, ma gli uomini non hanno un bambino nella pancia e non possono dire “Io ho abortito”! “Quando le donne ci dicono che nessun uomo può saperne niente hanno ragione”. Sofri sembra quasi mosso da un intento espiatorio nell’evocare la fenomenologia maschile di indifferenza ed estraneità (che segna il comportamento degli uomini dinanzi alla gravidanza inattesa e non desiderata) e nel denunciare la viltà con cui gli uomini spesso abbandonano la donne di fronte a queste scelte. Quello che non è cambiato e che deve cambiare è l’atteggiamento di fuga.
Innumerevoli le contraddizioni ed ambiguità in cui incorre Ferrara nella sua campagna e Sofri non ne tralascia alcuna. L’insistenza sul “diritto alla vita dal momento del concepimento” offre pretesti a chi vuole rendere illegale l’aborto (rilegandolo nuovamente alla clandestinità). Ferrara ripete di non volere che una donna sia costretta a partorire o che venga perseguita per aver abortito. Ma in realtà tutto il suo armamentario - e la scelta di schierarsi al fianco delle gerarchie ecclesiastiche - mette in discussione la legge 194. Nel momento in cui si chiede una solenne affermazione dell'ONU in difesa della vita "fin dal suo concepimento" si avanza una richiesta che comporta la condanna dell'aborto non solo come fenomeno sociale cui bisogna porre rimedio, o come strumento statale di controllo delle nascite, ma di qualsiasi interruzione di gravidanza. Così si arriva ad affermare la sacralità dell'embrione, contro la libertà di ricerca.
La donna resta il centro delle questioni sollevate, e non la semplice periferia di un embrione o il contenitore di una vita da consegnare ad altri. Troppo spesso il destino della donna è affidato agli uomini. Al centro della discussione quindi è il principio dell’autodeterminazione delle donne. Ferrara compie l’errore madornale di assimilarlo all’oppressione degli Stati totalitari, mentre “La condanna delle demografie coattive stataliste è proprio conseguente al riconoscimento della libertà di scelta delle donne, delle singole donne, che è la qualità più preziosa delle democrazie”. Da qui la proposta di Sofri di promuovere sì una mobilitazione, ma non contro l’autodeterminazione delle donne, bensì contro la demografia coercitiva e la persecuzione delle bambine. Dobbiamo chiedere alle Nazioni Unite, la condanna delle demografie forzate di Stato, come la legge cinese del figlio unico, che sequestrano la volontà delle donne e delle famiglie, decretano l'abolizione di sorelle e fratelli, spingono a sopprimere le nuove nascite femminili, in ciò aggiungendosi a una cultura patriarcale e maschilista sempre in auge".
Solo in questa direzione acquisterebbe senso una mobilitazione contro l’indifferenza allo scandalo dell’aborto. “Il mondo dovrebbe mettersi ad aspettare la salvezza dalla nascita di una bambina. Una qualunque."