Lo studio delle cerimonie funebri – intese come “rito di passaggio” da una dimensione conosciuta e tangibile come la vita ad un’altra, sconosciuta e misteriosa come la morte – è uno dei temi classici della ricerca antropologica, argomento affascinante e tradizionale per comprendere le diverse culture.
Si tratta di un tema tradizionale, di cui il testo mette bene in luce l’importante funzione sociale e di elaborazione del lutto, inserendolo all’interno di un grande cambiamento in corso nella società italiana: la presenza crescente, e sostanzialmente nuova per la nostra comunità, delle persone immigrate. L’eterno fluire tratta il tema delle cerimonie funebri nelle culture “altre” e in un contesto migratorio, soffermandosi sulle basi religiose del rito di ciascuno dei diversi mondi che esistono dietro l’essere immigrato, ma soprattutto mostrandoci quanto esse vengano negate allo straniero che si trova a vivere in mondi come il nostro. L’obiettivo non è solo quello di offrire uno spunto di riflessione a chi, come noi, è spesso abituato a considerare i propri riti e le proprie tradizioni come universali, ma è quello di contribuire a rendere consapevole la pratica, orientarla e cambiarla. Proposte e soluzioni – su come assistere nel momento della morte,ma non solo – sono concretamente rivolte al fare.
Maria Cristina Manca, etnologa e antropologa sociale ha realizzato, negli anni 2002-2003, un’indagine – che risulta essere la prima condotta in Italia, tra le comunità dei migranti presenti nel territorio del Comune di Firenze per cogliere i riti e le ritualità delle cerimonie funebri. La lettura del testo è particolarmente utile non solo a studiosi delle scienze sociali e antropologiche, ma anche ad amministratori locali e a dirigenti sanitari, preoccupati di rendere le strutture sanitarie sempre più accoglienti nel prendersi cura, dalla nascita fino alla morte, delle persone che provengono da altre culture. Facilitare la mediazione culturale è compito specifico del servizio sanitario pubblico ma è utile anche ri-scoprire il significato che il rispetto per i defunti e i riti di commiato hanno anche nella nostra cultura e che troppo spesso sono affidati frettolosamente ai tecnici delle pompe funebri, come se la persona curata fino al decesso divenisse, subito dopo la morte, “una presenza scomoda, una salma da portare altrove”.
Le prime Convenzioni che vengono siglate dalle Amministrazioni ospedaliere con i rappresentanti delle varie religioni, superando l’attuale esclusività dell’assistenza spirituale ai soli degenti di fede cattolica, segnano un primo passo verso il riconoscimento della necessità di offrire anche questo tipo di cura a chi la desidera, oltre a quella sanitaria. Ma occorre favorire il riconoscimento di una più ampia sfera di valori e significati che l’accompagnamento delle persone nella fase terminale della vita fa ri-scoprire, sia ai singoli che ad ogni gruppo che lo sperimenta, “per riuscire a superare non solo la morte come perdita, ma come un evento che ci ricorda il limite della condizione umana”. E il valore della condivisione del dolore, del fare memoria di chi è passato dalla vita ad un’altra dimensione, e dell’avviare le tante forme di elaborazione del lutto sono aspetti importanti di ogni comunità locale, sia autoctona sia di immigrati.