Sulle pagine online di Janus - scienza, etica, cultura - del 15 giugno è possibile leggere le dichiarazioni di Fiona Godlee, direttore del British Medical Journal, in merito alla legge sulla morte assistita.
Di seguito riportiamo l'articolo.
Care società mediche, fatevi da parte e smettete di opporvi a una legge sulla morte assistita. «La legalizzazione è una decisione che spetta alla società, non ai medici».
Così il direttore del British Medical Journal Fiona Godlee ha preso posizione in un editoriale pubblicato sul numero del 14 giugno.
I tempi - ha affermato Godlee - somigliano molto a quelli in cui l’argomento del dibattito era l’aborto. Anche la legge che lo rese possibile subì l’opposizione delle categorie professionali finché un cambiamento fu reso inevitabile dal clima sociale.
«Lo stesso sta avvenendo ora con la morte assistita. Un cambiamento della legge, con tutte le dovute cautele, è una conseguenza quasi inevitabile del progressivo spostamento delle società verso una maggiore autonomia individuale e un maggior potere decisionale affidato al paziente», ha scritto.
Nella realtà, però, l’opinione dei cittadini stenta a conquistare il giusto peso. Secondo un sondaggio commissionato dall’associazione Dignity in Dying più dell’80 per cento dei cittadini inglesi è favorevole a una legge sulla morte assistita. Ma pesa l’opposizione delle categorie professionali. Soprattutto quella della British Medical Association, secondo quanto riportato in un commento pubblicato sullo stesso numero della rivista da Raymond Tallis, professore emerito di Geriatria all’University of Manchester e presidente dell’associazione Healthcare Professionals for Assisted Dying.
«La prima ragione dell’opposizione della British Medical Association all’eutanasia e alla morte assistita è che sono estranee all’etica e agli obiettivi tradizionali della medicina», ha spiegato Tallis. «La seconda è connessa alla sicurezza del paziente e agli effetti dannosi sugli atteggiamenti sociali e sul rapporto medico-paziente». Tuttavia, «la mostruosa crudeltà di abbandonare un paziente morente che sta soffrendo in maniera insopportabile è chiaramente contraria all’etica medica. Esperienze internazionali hanno mostrato che porre la morte assistita all’interno di una cornice normativa può aumentare, non danneggiare la sicurezza del paziente e avere effetti benefici sulla fiducia nei confronti dei medici», ha concluso.
La posizione di stallo, tuttavia, sembra per il momento difficile da superare. Un cambiamento secondo Goodlee «non può accadere finché non cominceremo a considerare la morte uno degli eventi centrali della vita e non impareremo a vedere una cattiva morte nella stessa luce dell’aborto clandestino».
In ogni caso, il primo passo è stato compiuto. E l’idea lanciata dal Bmj che anche i cittadini debbano avere voce in un simile argomento di grande interesse sociale è già una buona notizia.
Per saperne di più
Fiona Godlee, Assisted dying, BMJ 2012; 344 doi: 10.1136/bmj.e4075 ( http://www.bmj.com/content/344/bmj.e4075 )
Raymond Tallis, Our professional bodies should stop opposing assisted dying, BMJ 2012; 344 doi: 10.1136/bmj.e4115 ( http://www.bmj.com/content/344/bmj.e4115 )
Tess McPherson, My mum wanted assisted dying but we watched her die slowly and in pain, BMJ 2012; 344 doi: 10.1136/bmj.e4007 ( http://www.bmj.com/content/344/bmj.e4007 )