Sazio di giorni è colui che vive immerso e dentro la propria vita, assaporandola e assorbendola tutta, qualsiasi evento arrivi, come è descritto in alcuni passi della Bibbia.
Gli incipit ricorrenti nei capitoli sono il preludio in un crescendo per giungere al capitolo finale “Perdita di profondità” dove l'autore scandaglia il lutto per la morte della moglie, mancata in poco meno di un mese e mezzo per cancro.
L’infanzia, l’armadio delle merende, le suore, la sala operatoria, le terapie riabilitative, il bacio di un coetaneo nell’anno della terza media, gli amici e le amiche conosciuti nel Centro durante il soggiorno durato circa venti anni. Poi, Daniela prosegue la sua vita con una forza di volontà che le consente di superare i danni causati dalla poliomielite e... un giorno, da quel bacio mai dimenticato scaturisce una «forza sotterranea che a poco a poco sale fino a fare esplodere la terra». È l’amore, che da sempre, impone delle scelte a tutti. Daniela ha saputo scegliere.
La vita è nulla da dimostrare. È solo da sentire. È l’essenza, il profumo, il niente, il tutto, il vuoto, il pieno. È l’esserci e non esserci, apparire e scomparire. Come il fiume che scorre nelle rapide, nelle cascate e si acquieta nel lago.
È il fluire delle cose, degli eventi, fluire con essi senza domanda alcuna. È l’essere, esistere e basta sia nella gioia che nel dolore. Il tempo del lutto è quello di un cammino che si snoda tra amore e perdita, tra presenza e assenza,
Un testo significativo per i messaggi che contiene e per l'elaborazione del lutto costruttiva, positiva, se è possibile definire così, donare agli altri, volgere al bene un dolore imponente e devastante come quello scaturito dalla morte di un figlio.
Ho partecipato alla presentazione del libro ”Ho il cancro e sono felice. Vicissitudini di un'abruzzese trapiantata a Firenze” di Ileana Cameli, presso la Biblioteca dell'Isolotto il 12.6 u.s. spinta dalla curiosità e infastidita dal titolo. Curiosità per l'argomento, essendo stata anche io attraversata dal cancro come narrato in “Mani sul mio corpo. Diario di una malata di cancro” e infastidita da un titolo quasi provocatorio come se il cancro avesse anche il potere di rendere felici oltre al potere distruttivo, devastante.
Se fossi una poetessa, dedicherei un'ode alle donne che sono andate a lavorare all'estero... se fossi una scultrice scolpirei nella pietra la “madre straniera”. Ma sono solo una madre, una madre come tante, lontana da tutto ciò che per lei è più caro e prezioso. Non mi resta che scrivere a voi, miei cari figli, e andare avanti per le strade della vita...
Lilia Bicec, giornalista moldava, lascia la sua terra per la povertà, disperazione e disoccupazione dopo il crollo dell'URSS.
Giorgio Di Rienzo, critico letterario, giornalista de Il corriere della sera, muore il 23 luglio 2011 dopo quasi un anno e mezzo dalla diagnosi di adenocarcinoma polmonare. Il libro, narrativo autobiografico, ci conduce lungo il percorso di malato, con “permessi di soggiorno” di tre mesi, rinnovati ogni volta che una PET o una nuova chemioterapia permettono al suo tumore di non accrescersi; la narrazione è focalizzata sul rapporto con la nipotina di 8 anni, Teresa alla quale dedica la prima pagina del libro sotto forma di lettera, che gli permette di sostenere la pesantezza e gli effetti collaterali delle terapie grazie alla leggerezza, alla solarità, alla curiosità della giovane nipotina, per la quale inventa storie e si ritaglia momenti di dimenticanza del suo stato, fino a riscoprire insieme la gioia di giocare a basket, principiante Teresa, collaudato giocatore da giovane Giorgio.
Il coraggio di una donna la quale, per amore del marito, accetta di lottare con lui affinché egli ottenga il diritto ad una morte opportuna.
E dopo la morte di Piergiorgio Welby, Mina Welby (Wilhelmine Schett) prosegue da sola la lotta a tutto campo (lotta politica, umana, giuridica e sociale), iniziata con il proprio compagno di vita, perché venga riconosciuto a tutti i cittadini italiani il diritto ad una vita dignitosa e ad una altrettanto dignitosa morte. Ad una morte opportuna.
"Rivoglio la mia morte": questo è il grido di solitudine e dolore di Piergiorgio Welby. Grido al quale egli non può dar sfogo con la propria voce, ma che può solo affidare al suono atono, metallico, di un simulatore vocale.